La nuova Europa - Alla ricerca di un equilibrio economico

Fin dalla sua istituzione, la Comunità Europea ha dovuto fronteggiare uno squilibrio congenito tra un Nord, più ricco, e un Sud con livelli di reddito inferiori. Questa disparità ha determinato ingenti flussi migratori di lavoratori dai Paesi latino-mediterranei verso le economie di Germania, Svizzera, Benelux e Francia, dalle aree a prevalente attività agricola a quelle più industrializzate.
A sostegno delle attività agricole, il 30 giugno 1960, la Commissione europea presentava le prime proposte per l'istituzione di una politica agricola comune (PAC), basata sul mercato unico e sulla solidarietà finanziaria. Quasi la metà dei fondi comuni veniva destinata all’agricoltura, per favorire la politica dell’autosufficienza attraverso lo sviluppo della produzione alimentare di base. Nel corso degli anni, l’occupazione nel settore agricolo è diminuita sensibilmente, la PAC è più orientata a favorire l’agricoltura sostenibile e la biodiversità rurale, ma gli investimenti in questo settore sono rimasti molto alti, tanto da rappresentare motivo di contenzioso, all'esterno, con gli USA e con i Paesi del Sud del mondo, nell’ambito degli accordi con il WTO (World Trade Organization), l’organizzazione del commercio mondiale, perché contro la liberalizzazione dei mercati. All'interno dell'Unione, la PAC ha costituito motivo di contrasto tra la "linea francese" di Chirac, favorevole a mantenere nel settore agricolo il 40% degli investimenti, e la "linea inglese" di Blair che la contesta a favore di investimenti diversificati in altri settori.
Europa a due velocità

Il Muro di Berlino, costruito nel 1949 e abbattuto nel 1989, ha segnato la demarcazione tra Paesi europei con diverso ritmo di industrializzazione, separando gli Stati con alto reddito pro capite da quelli più poveri.

Con la caduta del Muro, si è innescato un processo di riequilibrio economico, potente e relativamente veloce, che ha assunto una precisa dimensione politica, segnata dall’allargamento dell’Unione Europea nel 2004, e una connotazione commerciale, sempre più caratterizzata da consistenti flussi di investimento produttivo e delocalizzazioni industriali nell’Est europeo.
Attualmente, dovendo rappresentare i dati relativi al reddito, alla produzione industriale, alla crescita delle aree urbane, alla distribuzione dei servizi e dei centri decisionali in Europa, si evidenzia un’area centrale di alto livello e una serie di cerchi concentrici, aree di progressiva diminuzione del potenziale economico. Le zone periferiche sono quelle verso cui l’Unione indirizza i fondi di riequilibrio, una spesa ingente nel bilancio comunitario.
Il recente ampliamento dell’Unione Europea, con dieci nuove adesioni, rappresenta una sfida significativa rispetto al processo di integrazione economica dei decenni passati: non solo non si era mai verificato un allargamento così esteso, ma in tutti i nuovi Paesi membri il livello medio di reddito pro capite è inferiore a quello degli altri Stati dell’Unione.

Un quadro in continua evoluzione

L’Unione Europea si presenta comunque come una delle aree più ricche del pianeta. Negli ultimi dieci anni è diventato crescente e difficile da gestire anche il fenomeno della pressione migratoria, soprattutto illegale, proveniente dalle aree povere o conflittuali dell’Africa e dell’Asia. Anche condizioni “invivibili”, nello standard europeo, sono accettabili per migliaia e migliaia di persone che possono trovare nei Paesi dell’Unione Europea la speranza di uscire dalla povertà senza prospettive.

È un problema sempre più assillante non solo per i Paesi in prima linea (Italia, Spagna e Grecia nel Mediterraneo, Germania e Austria nella Mitteleuropa), ma per l’insieme dei Paesi comunitari.
Tuttavia, la crescita economica e la diffusione del benessere nella UE potrebbero non essere più garantite, per mancanza di fondi e anche perché l’Unione Europea sta ripensando il proprio modello di sviluppo e di protezione sociale dei cittadini, dovendosi confrontare con le spinte destrutturanti dell’economia globalizzata e con il modello socio-economico degli Stati Uniti, più flessibile, più competitivo e meno "statalizzato".

Cambiamenti sensibili nei settori dell’intervento pubblico (sanità, istruzione, prestazioni pensionistiche) possono essere fonte di tensioni sociali che l’Europa vuole controllare e mantenere a livelli accettabili, memore delle profonde divisioni e dei conflitti politici e sociali del passato, limitando il proprio intervento ai fondi di riequilibrio per non interferire con le politiche dei singoli Stati.
Inoltre, un discreto numero di imprese europee ha spostato la produzione di beni in Asia e in America Latina, potendo contare su un sistema di trasporti integrato e sufficientemente avanzato da ridurre i costi. L’Europa orientale, pur essendo un interessante sbocco per investimenti di capitale e delocalizzazione produttiva, deve quindi subire la concorrenza di produttori (asiatici soprattutto) che ne riducono la competitività.
L’Europa unita dai corridoi

Una delle strategie più efficaci per abbattere il forte differenziale tra le diverse realtà economiche dell’Unione, è rappresentata dalla creazione di grandi infrastrutture nel campo dei trasporti. Attraverso queste reti, infatti, si intende potenziare il mercato interno, in continua espansione, creando nuove opportunità di occupazione, di crescita economica e di cooperazione tra gli Stati membri.
Il concetto di rete transeuropea inizia a concretizzarsi negli anni Novanta, con le conferenze paneuropee sui trasporti: a Creta nel 1994 e a Helsinki nel 1997. In queste occasioni, sulla base dell’analisi dei fabbisogni e del rapporto di pianificazione presentato già nel 1991, sono stati individuati dieci “corridoi”: zone di collegamento strategiche, localizzate in modo da favorire lo scambio a livello continentale e la crescita delle aree circostanti, dove costruire e potenziare autostrade, ferrovie ad alta velocità, aeroporti, ma anche vie fluviali per il trasporto combinato di merci.
I principali corridoi sono individuati proprio nell’Europa dell’Est, di vitale importanza per sviluppare il traffico internazionale fino all’ex Unione Sovietica e verso l’Asia. Tra i più notevoli, spiccano il Corridoio VII, che si sviluppa lungo il Danubio, arteria di grande espansione economica, caratterizzata dalla presenza di acciaierie, cementifici, raffinerie di petrolio, e il Corridoio V, il più appetibile per l’Italia. Il Corridoio V collega infatti il Nord-Est italiano, fino al porto di Trieste, all’area balcanica (Croazia, Slovenia, Ungheria…). In questa zona, l’Italia rappresenta il principale o uno dei principali partner commerciali non solo per le esportazioni ma anche per le numerose delocalizzazioni degli ultimi anni, che hanno visto il trasferimento di segmenti di imprese o di intere unità produttive.

Per la sua conformazione, il Corridoio V può essere considerato la prosecuzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino – Milano – Venezia – Trieste, a sua volta collegata al tunnel ferroviario Torino - Lione.
Il reticolo transeuropeo è destinato ad ampliarsi e a infittirsi, con l'aggiunta e il collegamento di ulteriori nodi: nella prospettiva dei futuri allargamenti, i Corridoi potranno giocare un ruolo sempre più strategico, rendendo il mercato comune e la stessa Unione Europea più accessibili.

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