Il commercio regola il mondo - La storia degli accordi multilaterali

Già nel XVI secolo il navigatore inglese Walter Raleigh sosteneva che chi controlla il commercio controlla il mondo, ma il progetto di un governo mondiale dell’economia ha origini più recenti: negli anni ’30 del secolo scorso, infatti, gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Roosevelt, volendo dare una svolta liberista all’economia mondiale avevano già abbozzato un progetto di commercio globale. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale rimandò temporaneamente il programma, ma già verso la fine del conflitto i dirigenti delle potenze alleate, capitanate da USA e Gran Bretagna, gettarono le basi per la ricostruzione economica del mondo, assegnando al commercio internazionale il ruolo di leva dei nuovi processi di sviluppo. Accanto a un’istituzione bancaria (la Banca Mondiale) e a una finanziaria (il Fondo Monetario Internazionale), sarebbe dovuta nascere l’Organizzazione Internazionale del Commercio (ITO), cui affidare le nuove regole degli scambi commerciali, dotata di una vasta autonomia. L’ITO ebbe però una gestazione difficile, che non le permise di nascere, a causa dei contrasti interni agli Stati Uniti, padroni allora il 30% del commercio mondiale, ove prevalsero interessi protezionistici.

La nascita del GATT

Riuscì invece a nascere nel 1947 un Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio (GATT), che per decenni condusse trattative e cercò di risolvere le controversie tra gli aderenti (passati da 23 Stati nel 1947 a 123 nel 1993). Il GATT aveva lo scopo di liberalizzare il commercio agricolo e industriale, contribuire alla ripresa economica e sviluppare il benessere dei popoli.

Nel 1964 fu fondata la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), un organismo intergovernativo permanente con l’obiettivo di massimizzare nei Paesi del Sud del mondo le possibilità di crescita, commercio e investimento. Nonostante ciò, il GATT rimase l’ambito negoziale principale, anche se non era un sistema realmente rappresentativo, data l'esclusione di molti Paesi in via di sviluppo (che hanno sempre avuto un ruolo marginale e spesso passivo) e dei Paesi collettivisti (l’ex Unione Sovietica e i suoi alleati).

La piena liberalizzazione era un traguardo lontano, il GATT si accontentò di passare dall’unilateralismo (tendenza economica per cui una nazione ostacola deliberatamente le esportazioni estere nel proprio territorio) e dal bilateralismo (uno o più Stati concordano vantaggi reciproci ma continuano a proteggersi dagli altri) al multilateralismo (se uno Stato accorda un vantaggio a un altro, automaticamente quel vantaggio è esteso a tutti).

Nei suoi 46 anni di vita il GATT realizzò otto lunghi cicli di negoziati, che portarono a una notevole riduzione delle tariffe doganali.

Nasce la WTO

Nel 1994, dietro la pressione soprattutto degli ambienti finanziari internazionali, desiderosi di garantire la propria libertà d’azione, il GATT esaurisce la sua attività. L'anno successivo dà origine all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO), che amplia le aree d’intervento ai servizi e alla proprietà intellettuale (diritti d’autore, marchi, brevetti). L'organizzazione ha capovolto le politiche protezioniste ancora tollerate dal GATT e ha assunto il potere non solo di vigilare sul rispetto delle norme, ma anche di farle applicare in tempi brevi con strumenti anche coercitivi, quali l'applicazione di sanzioni. Essa si pone inoltre come garante che lo sviluppo di blocchi regionali non crei barriere al commercio mondiale; può dichiarare le leggi nazionali contrarie alla libertà di commercio e domandarne l’abrogazione.

La natura stessa dell'organizzazione, nata per garantire il libero commercio e l'abolizione del protezionismo, ha fatto sì che nel tempo ci sia stato uno sconfinamento del suo campo d'azione dall'ambito prettamente commerciale a tutte le attività umane (la salute, la protezione ambientale, la cultura, il lavoro, l’uso delle sementi, dell’acqua e dell’aria), che in questa prospettiva vengono considerate e gestite secondo le logiche mercantili. Si creano così situazioni limite: se un Paese decide di ostacolare pesantemente l'importazione di merci prodotte sfruttando il lavoro minorile, la WTO interviene stabilendo che questo atteggiamento impedisce la libera concorrenza; oppure se uno Stato impone delle tasse alle imprese straniere che trasportano petrolio sulle proprie strade come risarcimento per l’inquinamento procurato, la WTO avverte che non bisogna discriminare le multinazionali straniere.

Eppure il lavoro, l’ambiente, la salute e la cultura sono tutelati dalla comunità internazionale tramite le agenzie dell’ONU. Ma quando i principi di queste ultime entrano in conflitto con le regole del libero commercio, com’è facile che sia in un mondo globalizzato, la WTO si sottrae a un confronto paritetico, sostenendo la superiorità delle proprie decisioni su quelle delle agenzie delle Nazioni Unite.
Limiti della WTO

La logica mercantile della WTO ha due limiti oggettivi. Il primo difetto di questo modello – peraltro estremamente produttivo sul piano economico - che cerca di regolamentare il pianeta, è costituito dalla contraddizione tra il multilateralismo, che vede numerosi uguali competitori nella libera arena planetaria, e il regionalismo, che è la tendenza di alcuni Paesi a liberalizzare il commercio tra loro, discriminando però i Paesi non membri dell’accordo attraverso un’elevata protezione. La filosofia del “chi fa da sé fa per tre” contrapposta a quella de “l’unione fa la forza”. Questa contraddizione, che non sembra destinata a essere risolta nel breve periodo, si comporrà a più lungo termine perché lo stesso multilateralismo ammette eccezioni e tempi lunghi e lo stesso regionalismo tende a stabilire accordi liberisti con gli altri blocchi.

Il secondo difetto è costituito dallo sfruttamento eccessivo e poco efficiente delle risorse naturali, indipendentemente da chi ne è responsabile; in una realtà sempre più globalizzata e orientata alla tutela del pianeta, inteso come un unico organismo vivente, non vengono presi in considerazione in alcun modo gli impatti ambientali e umani di una tale politica commerciale. È possibile, e fortemente auspicabile, che primo o poi l'organizzazione tenga in seria considerazione le esigenze planetarie.

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