Gli orizzonti dell'etica



Nella concezione antropologica di cultura, secondo l'accezione di Edward Tylor, l'etica è uno degli elementi caratterizzanti di una società insieme alle leggi, alla religione, alla lingua e ai costumi. Ogni popolo ha infatti dei modelli di comportamento a cui ispirarsi, che variano nelle diverse culture. In tale prospettiva l'etica si occupa di analizzare in modo scientifico i comportamenti umani nella loro dimensione concreta e quotidiana, tenendo conto anche dei valori che vi stanno alla base, comunemente detti “morale”. Etica infatti non è sinonimo di morale, ma è riflessione sui valori morali: per esempio sui concetti di bene, verità, virtù, ...
Da qualche decennio il termine etica viene usato anche in un’altra accezione, in rapporto a specifici campi della vita umana (si tratta infatti di etiche applicate): etica degli affari o dell'economia, etica ambientale, etica animalista, etica della comunicazione o dei media, bioetica.
Bioetica: origini di una disciplina

Il significato attuale del termine viene utilizzato per la prima volta negli anni ‘70 del Novecento, quando Van Rensselaer Potter scrisse un articolo in cui si proponeva di trovare una nuova disciplina che potesse dare più significato morale alle scienze sperimentali, coniugandole con la realizzazione di un’elevata qualità della vita.
Ma le origini della bioetica modernamente intesa vanno cercate nel contesto storico-culturale della prima metà del XX secolo. Fu allora che si verificarono tre situazioni che gettarono le basi per la bioetica contemporanea: il dibattito sulle responsabilità etiche della scienza, nato nell’ambito delle ricerche sull’energia atomica; i crimini contro l'umanità, perpetrati durante i totalitarismi di Stalin, Mussolini e Hitler nei gulag, nelle foibe e nei campi di concentramento; le sperimentazioni mediche “selvagge” nel secondo Dopoguerra su alcune categorie di persone, considerate “inferiori”.
Il dibattito sulle responsabilità etiche della scienza ha coinvolto gli scienziati atomici negli anni Quaranta del XX secolo: le ricerche sull’energia atomica, nate dall’approfondimento della fisica teorica, avevano dimostrato quanto questa forma di energia potesse essere utile, per esempio per la produzione di energia per uso civile, ma anche distruttiva, se utilizzata per creare bombe atomiche. Il dibattito fu molto acceso, considerato anche il contesto storico di un conflitto mondiale in corso.
Nell’immediato Dopoguerra il Processo di Norimberga rappresentò una sorta di presa di coscienza "epocale" di ciò che era accaduto e che non sarebbe dovuto più accadere. Tra gli imputati, infatti, vi erano anche scienziati e medici che avevano deliberatamente messo se stessi e la propria conoscenza al servizio del regime nazista e delle sperimentazioni criminali che esso richiedeva ed esaltava.

Al processo il loro atteggiamento venne giudicato doppiamente colpevole: infatti queste persone non solo avevano violato i diritti umani, a tutela dei quali nel 1948 l’ONU promulgò un documento internazionale sottoscritto e approvato da tutti gli Stati membri, ma avevano commesso reato anche contro la comunità scientifica, violando apertamente il codice di condotta morale a cui medici e scienziati aderiscono e la cui base prevede l’uso della scienza per il bene dell’intera umanità.

Fu in tale contesto che venne redatto il Codice di Norimberga, che può essere considerato il progenitore dei moderni codici deontologici, periodicamente rivisti dagli Ordini dei Medici dei diversi Paesi.
Le sperimentazioni mediche su esseri umani sono un fenomeno secolare, ma solo nel Novecento hanno assunto proporzioni e gravità tali da suscitare materia di dibattito.

Nei campi di concentramento nazisti venivano usati come cavie esseri umani considerati inferiori perché appartenenti a determinate categorie disdicevoli da una prospettiva sociale o razziale (detenuti, condannati a morte, ebrei). Queste persone erano utilizzate sia per la normale ricerca medica, senza naturalmente che venisse chiesto loro alcun consenso, sia per esperimenti puramente arbitrari. In tale clima culturale le teorie eugenetiche formulate alla fine dell’Ottocento furono messe al servizio del credo nazista, provocando, tra l’altro sterilizzazioni di massa di categorie “impure” e selezioni genetiche di individui “idonei”.

Il fenomeno delle sperimentazioni senza controllo, purtroppo, sebbene attenuato, non si spense e continuò latente su quasi tutto il pianeta.

Fu però negli anni ’60 che si assistette a una nuova ondata di sperimentazioni, nonostante l‘acquisita consapevolezza delle responsabilità etiche della scienza e le carte internazionali sui diritti umani e su quelli del malato.

Anche in quel caso furono effettuati studi medici su alcune categorie di persone senza rispettare le prescrizioni dei codici deontologici internazionali. Il dibattito si accentuò e diede come risultato la nascita, tra il 1962 e il 1964, della Dichiarazione di Helsinki, con cui l'Associazione Medica Mondiale fissò le norme e i criteri di tipo deontologico per le sperimentazioni mediche sulle persone umane. Il codice, revisionato periodicamente, è ancora oggi il principale punto di riferimento sia per la deontologia medica sia per la ricerca scientifica su esseri umani.
Etica dei consumi

Accanto alle questioni legate alle scoperte scientifiche, esiste un altro importante filone di “etica applicata”. L’uomo occidentale, sempre più globalizzato, sente forti gli squilibri tra il proprio stile di vita e quello dei Paesi più poveri. Ne deriva uno stimolo a conoscere e cercare di capire realtà e culture lontane, supportandone lo sviluppo. Alla domanda, segue la risposta dei consumi considerati alternativi: finanza etica, commercio equo e solidale, turismo responsabile, aziende “socialmente responsabili” e tanti altri servizi il cui valore si misura non solo con la qualità, ma in base all’equità del processo di produzione e delle condizioni di lavoro e al rispetto per l’ambiente.

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