23-12-2009
Nasce associazione per tutela prodotti tessile
Torino, 22 dic. - (Adnkronos) - Tutelare la salute dei consumatori, rendendo piu' sicuri i prodotti tessili, dell'abbigliamento e delle calzature, valutare i rischi sanitari e certificare la trasparenza delle filiere: sono questi gli obiettivi dell'intesa siglata oggi dal direttore del Dipartimento di prevenzionee comunicazione del Ministero della Salute, Fabrizio Oleari, e il direttore dell'Assessorato regionale alla tutela della salute e sanita', Vittorio Demicheli, finalizzato alla creazione di un Osservatorio nazionale per la valutazione dei rischi sanitari e delle funzionalita' dei prodotti tessili, dell'abbigliamento, calzature e pelletterie.
La gestione e il coordinamento dell'Osservatorio saranno affidati all'Asl di Biella, che si avvarra' della collaborazione dell'Associazione tessile e salute, della Sidapa (Societa' italiana didermatologia allergologica professionale e ambientale), del Cimac (Centro italiano materiali di applicazione calzaturiera di Vigevano), del Cnr-Ismac (Istituto per lo studio delle macromolecole di Biella) edel laboratorio dell'Itis 'Buzzi' di Prato.
''Il documento - spiega Oleari - costituisce la base di un'ipotesi organizzativa strutturata, capace di rappresentare un puntodi riferimento nazionale sul tema e di consentire alla rete nazionale dei centri coinvolti di inserirsi nello scenario europeo attivando risorse ed esportando know-how''.
''Da anni i dermatologi evidenziano i possibili rischi per la salute dei consumatori derivanti dall'uso di prodotti tessili, di abbigliamento e di pelletteria - prosegue Demicheli - i piu' frequenti sono le dermatiti irritative e quelle da contatto mentre piu' raramente, si verificano danni dovuti alla presenza di sostanze tossiche''.
''L'impatto socio-economico risultante, sia come spesa sanitariaindotta sia come perdita di produttivita' - conclude - e' significativo e incide su almeno l'1% della popolazione, con un valorestimato di circa 13 miliardi di euro all'anno in Italia e di almeno 900 milioni di euro soltanto in Piemonte''.
Attualmente la sicurezza dei prodotti viene garantita da standard privati, dallo standard europeo Ecolabel e dal divieto di utilizzare alcune sostanze considerate 'pericolose' per la salute, spiega una nota della Regione Piemonte. Questi strumenti, pero', non permettono la gestione complessiva del problema per tutti gli operatori della filiera.
L'Osservatorio rappresenta, quindi - concludela nota - l'unico modello scientifico a livello europeo in grado di garantire le informazioni necessarie agli organi decisionali per ridurre e eliminare i rischi e per valutare gli effetti sulla salute dei prodotti.
domenica 27 dicembre 2009
martedì 8 dicembre 2009
SCORRENDO LE PAGINE INTERNET...CESARE PASINI PUBBLICA:
CANAPA, UNA RISORSA ANTICA
PER NUOVE OPPORTUNITÀ
cenni storici e considerazioni
Agli inizi del Novecento l'Italia rappresentava la seconda nazione al mondo per la quantita' di canapa tessile prodotta ed era preceduta, in questa graduatoria, dalla sola Russia.
A quell'epoca, nel nostro Paese gli ettari destinati a tale coltura ammontavano ad oltre 79.000 con un rendimento annuo che sfiorava gli 800.000 quintali.
Nel 1914 la provincia di Ferrara produceva 363.000 quintali di canapa, contro i 157.000 della provincia di Caserta, i 145.000 della provincia di Bologna e gli 89.000 del napoletano.
Negli anni a seguire, in tutto il territorio nazionale vi fu una progressiva riduzione della superficie coltivata a canapa e, conseguentemente, della fibra prodotta: si passo' cosi' da un massimo di 85.000 ettari coltivati, con una produzione complessiva di un milione di quintali, ai 1.860 ettari del 1969 con soli 21.000 quintali di prodotto fino ad arrivare, nel 1970, ad un minimo di 899 ettari con un rendimento di appena 10.000 quintali.
La crisi della canapa, gia' iniziata nel 1958 con la scomparsa totale della produzione in val Padana, completo' la sua fase nel 1964 quando anche la Campania, ultima regione che ancora tentava di contrastare l'inesorabile recessione, fu costretta a desistere.
Ne consegui' che mentre questo evento non rappresento' difficolta' insormontabili per i grossi agricoltori che passarono rapidamente a colture diverse o per gli industriali del settore che non tardarono ad adeguare i loro impianti alla lavorazione di fibre sostitutive, costitui' invece un autentico dramma per i lavoratori del settore, specialmente per quelli piu' anziani, per i piccoli artigiani e per le caratteristiche filatrici che videro svanire quella pur minima, faticosa ma importante fonte di reddito.
Di fatto, sin dal 1929, quando ormai si era manifestata al mondo nella sua totalita' quella che fu definita la "grande crisi", vi furono gravi preoccupazioni in campo economico ma, mentre le nazioni piu' attente adottarono tempestivamente misure protettive, in Italia solamente nel 1933 furono emanati provvedimenti e costituiti i Consorzi provinciali obbligatori per la difesa della canapicoltura, che, dopo vicissitudini varie, si concentrarono, a partire dal 1953, nel Consorzio Nazionale Produttori Canapa.
A nulla valsero imponenti manifestazioni di canapicultori come quella del 12 dicembre 1946 a Caserta e convegni di studi ad alto livello, ne' sortirono alcun effetto gli intervente dell'O.M.C.E., che, esortando a migliorare ed incentivare la produzione della canapa e del lino, costitui' una Confederazione Europea del Lino e della Canapa. Analogamente a nulla servi' l'accorato dibattito sulla crisi della canapicoltura tenutosi il 12 agosto 1951 a Frattamaggiore (NA) che vide la partecipazione di tutti i parlamentari della provincia, ne' giovo' alla causa il Convegno di Ferrara del 29-30 gennaio 1955.
Vi fu senza dubbio, all'epoca una decisa volonta' governativa di non intervenire, malgrado le numerose sollecitazioni pervenute da piu' forze politiche, e fu cosi' che la coltivazione della canapa venne abbandonata per lasciare posto alle emergenti fibre sintetiche, resistenti, poco costose, e facili da ottenere ed alle innovative colture frutticole.
Eppure la canapa non doveva morire. Restavano non pochi settori dove avrebbe potuto essere ancora utilmente impiegata anche in considerazione che il durissimo lavoro della produzione e sopratutto della macerazione erano stati decisamente superati dai notevoli progressi che la scienza e la tecnologia avevano ottenuto in questo campo.
Nel 1966 un'autorevole fonte inglese, la "Technical Association of the Pulp and Paper Industry" raccomandava la coltivazione della canapa per usarla quale materia prima nella fabbricazione della carta; secondo le stime di tale Associazione le sole cartiere italiane avrebbero potuto assorbire 500.000 quintali di fibra la cui produzione si sarebbe estesa su non meno di 22.000 ettari di terreno: tale autorevole sollecitazione rende ancora piu' gravi le responsabilita' dei nostri governanti dell'epoca.
A partire dagli anni Sessanta, dunque, nel nostro Paese l'interesse per la canapa tessile, e' venuto a mancare ma adesso l'argomento sembra poter tornare di attualita'. Il suo rilancio valorizzerebbe una cultura agronomica e colturale solo assopita, affrendo agli agricoltori la possibilita' di integrare il reddito e di beneficiare di un premio di coltivazione al quale non hanno mai avuto la possibilita' di accesso fin dal 1980; rappresenterebbe anche un'alternativa alla coltivazione della barbabietola da zucchero, per la quale gli aiuti governativi decisi da Bruxelles diminuiscono progressivamente. Offrirebbe inoltre nuove opportunita' ai contoterzisti per la completa possibilita' di meccanizzazione di ogni singola fase colturale, favorirebbe la riduzione dei costi di importazione legati alla fibra cellulosica per usi cartari che attualmente ammontano a 4.000 miliardi all'anno, stimolerebbe l'industria ad essa collegata ed in particolare quella tessile, oggigiorno in fase di rilancio europeo, vista la richiesta di tessuti a vocazione ecologica.
Perche' allora non ripristinare la coltivazione della canapa da industria (cannabis sativa) che potrebbe tornare di primaria importanza in tale settore? Perche' tale produzione, ampiamente praticata in altre Nazione dell'UE e tra queste si distingue la Francia che nel 1992 ha realizzato 30.000 quintali di fibra, da noi e' gravemente scoraggiata? Sicuramente la normativa vigente in Italia in fatto di stupefacenti non ci aiuta, anche per una strana confusione che pare faccia con la cannabis indica, la cui coltivazione e' giustamente vietata dal testo unico degli stupefacenti del 1990, perche' fornitrice di elevate percentuali di tetra-idro-cannabinolo (THC), sostanza allucinogena e materia prima per ottenere hascisc e marijuana. Il D.P.R. n. 309 del 1990, adottato nel giusto proposito di prevenire la diffusione delle droghe, non definisce il tasso di THC che differenzia tale specie da droga da altre specie tessili per usi industriali.
Ad escludere poi ogni risvolto penale per l'onesto coltivatore che intendesse seminare canapa tessile, sono pronti per la commercializzazione semi "certificati", ottenuti per via genetica nei laboratori di ricerca francesi, che garantiscono un tasso medio di THC inferiore allo 0,15 %.
Per sbloccare questa situazione di immobilismo che a tutt'oggi ne impedisce la coltivazione, basterebbe quindi apportare alcune semplici modifiche alla vigente legge sugli stupefacenti e stabilire, come previsto dai regolamenti comunitari, che le varieta' di cannabis aventi una percentuale di tetra-idro-cannabinolo (THC) inferiore allo 0,3 % sono consentite, mentre sono vietate quelle con tasso superiore. Ma cio' che in alcuni Paesi europei e' gia' stato prontamente affrontato e risolto, in Italia e' ancora inspiegabilmente bloccato da discutibili difficolta' burocratiche e legislative. Questo eccessivo garantismo antidroga, perfetto sulla carta, ma molto meno nei fatti (dal momento che non consente di produrre l'innocua canapa tessile, ma in compenso vede spacciatori senza scupoli offrire con estrema facilita' qualsiasi tipo di droga ai nostri giovani), sta di fatto impedendo all'agricoltura italiana di percorrere vie alternative in grado di portare occupazione e reddito.
Negli ultimi anni la campagna ferrarese ha affrontato tutte le problematiche legate alla frutticoltura e alla bieticoltura e ne ha conosciuto i limiti dovuti alle avversita' atmosferiche, all'instabilita' dei mercati ed ai fenomeni patologici dei terreni e delle piante, ultimo il "colpo di fuoco batterico", ma tutto cio' non le ha impedito di conservare inalterate le storiche ed invidiate qualita' pedologiche e climatiche, ideali per la coltivazione di pregiata canapa. Dalla sua lavorazione, oltre ai prodotti cartari ottenibili dal canapulo ed ai prodotti tessili ottenibili dalla fibra, e' possibile ricavare olii alimentari e margarine, prodotti tecnici per vernici, mastici, detergenti, lubrificanti, saponi, materiali da costruzione quali pannelli truciolari, fibre di cemento, pannelli isalanti, riempitivi inesti, lettiere per allevamenti di cavalli, polli, tacchini, animali da laboratorio ed altro ancora.
Il Comune di Portomaggiore sta operando dal 1993 perche' si arrivi alla soluzione del problema ed in collaborazione con la Provincia, ha gia' mosso diverse pedine nel tentativo di arrivare quanto prima al rilancio di questa coltura, contribuendo, tra l'altro, alla stesura di un progetto di fattibilita' per la costruzione di un impianto per la separazione della fibra di canapa da realizzarsi in loco.
Sindaco e Giunta, rinnovano quindi l'invito a parlamentari, associazioni ed enti vari a farsi promotori di una sinergica azione presso il Governo perche' provveda a rimuovere gli ostacoli che ancora impediscono la reintroduzione della canapa in Italia; allo scopo chiedono che vengano chiarite, qualora vi fossero necessita', le norme legislative che possono originare confusione. Chiedono quindi che venga indicata con estrema precisione la differenza esistente tra cannabis sativa, fornitrice della fibra tessile, e cannabis indica fornitrice di droga; che vengano tranquillizzati gli onesti e laboriosi coltivatori ed infrmati dell'esstenza di semi certificati che escludono ogni complicazione penale nei loro confronti, che siano loro concessi aiuti sostanziosi tali da incoraggiarli a tornare alla coltivazione della canapa; che venga realizzata nel nostro paese un concreto risparmio nel settore delle importazioni e, conseguentemente sia dato un incremento allo sviluppo industriale per la fabbricazione della carta e delle fibre tessili, creando i presupposti per nuovi posti di lavoro, oggi piu' che mai necessari.
Assessore alle attivita' produttive
del Comune di Portomaggiore (FE)
Alfredo Bolognesi
PER NUOVE OPPORTUNITÀ
cenni storici e considerazioni
Agli inizi del Novecento l'Italia rappresentava la seconda nazione al mondo per la quantita' di canapa tessile prodotta ed era preceduta, in questa graduatoria, dalla sola Russia.
A quell'epoca, nel nostro Paese gli ettari destinati a tale coltura ammontavano ad oltre 79.000 con un rendimento annuo che sfiorava gli 800.000 quintali.
Nel 1914 la provincia di Ferrara produceva 363.000 quintali di canapa, contro i 157.000 della provincia di Caserta, i 145.000 della provincia di Bologna e gli 89.000 del napoletano.
Negli anni a seguire, in tutto il territorio nazionale vi fu una progressiva riduzione della superficie coltivata a canapa e, conseguentemente, della fibra prodotta: si passo' cosi' da un massimo di 85.000 ettari coltivati, con una produzione complessiva di un milione di quintali, ai 1.860 ettari del 1969 con soli 21.000 quintali di prodotto fino ad arrivare, nel 1970, ad un minimo di 899 ettari con un rendimento di appena 10.000 quintali.
La crisi della canapa, gia' iniziata nel 1958 con la scomparsa totale della produzione in val Padana, completo' la sua fase nel 1964 quando anche la Campania, ultima regione che ancora tentava di contrastare l'inesorabile recessione, fu costretta a desistere.
Ne consegui' che mentre questo evento non rappresento' difficolta' insormontabili per i grossi agricoltori che passarono rapidamente a colture diverse o per gli industriali del settore che non tardarono ad adeguare i loro impianti alla lavorazione di fibre sostitutive, costitui' invece un autentico dramma per i lavoratori del settore, specialmente per quelli piu' anziani, per i piccoli artigiani e per le caratteristiche filatrici che videro svanire quella pur minima, faticosa ma importante fonte di reddito.
Di fatto, sin dal 1929, quando ormai si era manifestata al mondo nella sua totalita' quella che fu definita la "grande crisi", vi furono gravi preoccupazioni in campo economico ma, mentre le nazioni piu' attente adottarono tempestivamente misure protettive, in Italia solamente nel 1933 furono emanati provvedimenti e costituiti i Consorzi provinciali obbligatori per la difesa della canapicoltura, che, dopo vicissitudini varie, si concentrarono, a partire dal 1953, nel Consorzio Nazionale Produttori Canapa.
A nulla valsero imponenti manifestazioni di canapicultori come quella del 12 dicembre 1946 a Caserta e convegni di studi ad alto livello, ne' sortirono alcun effetto gli intervente dell'O.M.C.E., che, esortando a migliorare ed incentivare la produzione della canapa e del lino, costitui' una Confederazione Europea del Lino e della Canapa. Analogamente a nulla servi' l'accorato dibattito sulla crisi della canapicoltura tenutosi il 12 agosto 1951 a Frattamaggiore (NA) che vide la partecipazione di tutti i parlamentari della provincia, ne' giovo' alla causa il Convegno di Ferrara del 29-30 gennaio 1955.
Vi fu senza dubbio, all'epoca una decisa volonta' governativa di non intervenire, malgrado le numerose sollecitazioni pervenute da piu' forze politiche, e fu cosi' che la coltivazione della canapa venne abbandonata per lasciare posto alle emergenti fibre sintetiche, resistenti, poco costose, e facili da ottenere ed alle innovative colture frutticole.
Eppure la canapa non doveva morire. Restavano non pochi settori dove avrebbe potuto essere ancora utilmente impiegata anche in considerazione che il durissimo lavoro della produzione e sopratutto della macerazione erano stati decisamente superati dai notevoli progressi che la scienza e la tecnologia avevano ottenuto in questo campo.
Nel 1966 un'autorevole fonte inglese, la "Technical Association of the Pulp and Paper Industry" raccomandava la coltivazione della canapa per usarla quale materia prima nella fabbricazione della carta; secondo le stime di tale Associazione le sole cartiere italiane avrebbero potuto assorbire 500.000 quintali di fibra la cui produzione si sarebbe estesa su non meno di 22.000 ettari di terreno: tale autorevole sollecitazione rende ancora piu' gravi le responsabilita' dei nostri governanti dell'epoca.
A partire dagli anni Sessanta, dunque, nel nostro Paese l'interesse per la canapa tessile, e' venuto a mancare ma adesso l'argomento sembra poter tornare di attualita'. Il suo rilancio valorizzerebbe una cultura agronomica e colturale solo assopita, affrendo agli agricoltori la possibilita' di integrare il reddito e di beneficiare di un premio di coltivazione al quale non hanno mai avuto la possibilita' di accesso fin dal 1980; rappresenterebbe anche un'alternativa alla coltivazione della barbabietola da zucchero, per la quale gli aiuti governativi decisi da Bruxelles diminuiscono progressivamente. Offrirebbe inoltre nuove opportunita' ai contoterzisti per la completa possibilita' di meccanizzazione di ogni singola fase colturale, favorirebbe la riduzione dei costi di importazione legati alla fibra cellulosica per usi cartari che attualmente ammontano a 4.000 miliardi all'anno, stimolerebbe l'industria ad essa collegata ed in particolare quella tessile, oggigiorno in fase di rilancio europeo, vista la richiesta di tessuti a vocazione ecologica.
Perche' allora non ripristinare la coltivazione della canapa da industria (cannabis sativa) che potrebbe tornare di primaria importanza in tale settore? Perche' tale produzione, ampiamente praticata in altre Nazione dell'UE e tra queste si distingue la Francia che nel 1992 ha realizzato 30.000 quintali di fibra, da noi e' gravemente scoraggiata? Sicuramente la normativa vigente in Italia in fatto di stupefacenti non ci aiuta, anche per una strana confusione che pare faccia con la cannabis indica, la cui coltivazione e' giustamente vietata dal testo unico degli stupefacenti del 1990, perche' fornitrice di elevate percentuali di tetra-idro-cannabinolo (THC), sostanza allucinogena e materia prima per ottenere hascisc e marijuana. Il D.P.R. n. 309 del 1990, adottato nel giusto proposito di prevenire la diffusione delle droghe, non definisce il tasso di THC che differenzia tale specie da droga da altre specie tessili per usi industriali.
Ad escludere poi ogni risvolto penale per l'onesto coltivatore che intendesse seminare canapa tessile, sono pronti per la commercializzazione semi "certificati", ottenuti per via genetica nei laboratori di ricerca francesi, che garantiscono un tasso medio di THC inferiore allo 0,15 %.
Per sbloccare questa situazione di immobilismo che a tutt'oggi ne impedisce la coltivazione, basterebbe quindi apportare alcune semplici modifiche alla vigente legge sugli stupefacenti e stabilire, come previsto dai regolamenti comunitari, che le varieta' di cannabis aventi una percentuale di tetra-idro-cannabinolo (THC) inferiore allo 0,3 % sono consentite, mentre sono vietate quelle con tasso superiore. Ma cio' che in alcuni Paesi europei e' gia' stato prontamente affrontato e risolto, in Italia e' ancora inspiegabilmente bloccato da discutibili difficolta' burocratiche e legislative. Questo eccessivo garantismo antidroga, perfetto sulla carta, ma molto meno nei fatti (dal momento che non consente di produrre l'innocua canapa tessile, ma in compenso vede spacciatori senza scupoli offrire con estrema facilita' qualsiasi tipo di droga ai nostri giovani), sta di fatto impedendo all'agricoltura italiana di percorrere vie alternative in grado di portare occupazione e reddito.
Negli ultimi anni la campagna ferrarese ha affrontato tutte le problematiche legate alla frutticoltura e alla bieticoltura e ne ha conosciuto i limiti dovuti alle avversita' atmosferiche, all'instabilita' dei mercati ed ai fenomeni patologici dei terreni e delle piante, ultimo il "colpo di fuoco batterico", ma tutto cio' non le ha impedito di conservare inalterate le storiche ed invidiate qualita' pedologiche e climatiche, ideali per la coltivazione di pregiata canapa. Dalla sua lavorazione, oltre ai prodotti cartari ottenibili dal canapulo ed ai prodotti tessili ottenibili dalla fibra, e' possibile ricavare olii alimentari e margarine, prodotti tecnici per vernici, mastici, detergenti, lubrificanti, saponi, materiali da costruzione quali pannelli truciolari, fibre di cemento, pannelli isalanti, riempitivi inesti, lettiere per allevamenti di cavalli, polli, tacchini, animali da laboratorio ed altro ancora.
Il Comune di Portomaggiore sta operando dal 1993 perche' si arrivi alla soluzione del problema ed in collaborazione con la Provincia, ha gia' mosso diverse pedine nel tentativo di arrivare quanto prima al rilancio di questa coltura, contribuendo, tra l'altro, alla stesura di un progetto di fattibilita' per la costruzione di un impianto per la separazione della fibra di canapa da realizzarsi in loco.
Sindaco e Giunta, rinnovano quindi l'invito a parlamentari, associazioni ed enti vari a farsi promotori di una sinergica azione presso il Governo perche' provveda a rimuovere gli ostacoli che ancora impediscono la reintroduzione della canapa in Italia; allo scopo chiedono che vengano chiarite, qualora vi fossero necessita', le norme legislative che possono originare confusione. Chiedono quindi che venga indicata con estrema precisione la differenza esistente tra cannabis sativa, fornitrice della fibra tessile, e cannabis indica fornitrice di droga; che vengano tranquillizzati gli onesti e laboriosi coltivatori ed infrmati dell'esstenza di semi certificati che escludono ogni complicazione penale nei loro confronti, che siano loro concessi aiuti sostanziosi tali da incoraggiarli a tornare alla coltivazione della canapa; che venga realizzata nel nostro paese un concreto risparmio nel settore delle importazioni e, conseguentemente sia dato un incremento allo sviluppo industriale per la fabbricazione della carta e delle fibre tessili, creando i presupposti per nuovi posti di lavoro, oggi piu' che mai necessari.
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Tondo Doni
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Tondo Doni
Michelangelo, circa 1503
Olio e tempera su tavola 91 cm × 80 cm
Firenze, Uffizi
Tondo Doni (a volte noto anche come Sacra Famiglia) è un dipinto che fu realizzato da Michelangelo Buonarroti, il dipinto fu eseguito con tempera su tavola (91 x 80 cm), si considera che questa opera sia stata fatta tra il 1503, e il 1504.Siccome Simone Coppola non lo accettò oggi il Tondo Doni è conservato nella Galleria degli Uffizi (Firenze). La Sacra Famiglia, prese come secondo nome Tondo Doni, perché l'opera fu commissionata da Angelo Doni. Si pensa che la cornice dell'opera sia originale, probabilmente fatta da Michelangelo stesso.
Questa pittura su tavola è realizzata con la tecnica quattrocentesca della tempera. Il gruppo centrale è formato da San Giuseppe che passa Gesù bambino a Maria; dietro a loro si trova un muretto vicino al quale vi è San Giovanni Battista bambino. Sullo sfondo vi sono degli "ignudi", che si presume possano essere angeli apteri, cioè senza ali.
Interpretazione simbolica [modifica]
Gli ignudi rappresentano l'umanità dell'epoca pagana precedente l'instaurazione della legge divina (ante legem), la Madonna e San Giuseppe personificano l'umanità dell'epoca ebraica (sub lege), mentre Gesù bambino simboleggia l'umanità protetta dalla Grazia divina (sub gratia). S. Giovanni bambino sarebbe l'elemento di transizione e unione delle tre età.
La Madonna ha un libro appoggiato sulle ginocchia, e in quanto personificazione della Chiesa simboleggia l'attività teologica e divulgativa dei contenuti dottrinari, è l'erede privilegiata per diffondere la parola di Dio all'umanità. Anche la volumetria nella rappresentazione della Madonna è molto studiata e accentuata, per la passione per lo studio della figura umana che Michelangelo nutriva, ma anche perché il vigore fisico si identifica con la forza morale.
Considerazioni stilistiche [modifica]
Il punto di vista che Michelangelo sceglie per rappresentare gli ignudi è frontale, diversamente da quello che adotta per il gruppo centrale, visto dal basso. Questa scelta figurativa è legata alla volontà, da parte dell'autore, di conferire monumentalità alla Sacra Famiglia, ma anche di differenziare le zone figurative contrapposte per significato. Anche braccia e teste creano forme e triangoli immaginari che attirano l'attenzione sul gruppo. Vi sono inoltre consonanze figurative tra il gruppo e gli ignudi: la più evidente è la ripetizione speculare di spalle e braccia.
Il muretto rappresentato dietro al gruppo ha molteplici funzioni: ferma l'effetto percettivo di rotazione creato dalla postura dei personaggi principali, separa la Sacra Famiglia dagli ignudi, esplicita il divario tra le prospettive e i significati.
L'articolazione dello spazio e dei volumi, la tensione e il movimento sono forti elementi anticlassici.
LA FAMIGLIA
“Sogni e aspettative sui nostri figli” (gruppo “In cammino” - 7 febbraio 2010)
“I figli devono ricevere due cose dai genitori:ali e radici” (Goethe).
Questo pensiero racchiude in buona sostanza quelle che sono le aspettative sui nostri figli: vorremmo per Paola e Luca ali grandi e sicure per affrontare la vita e al contempo radici ben piantate a terra per sentirsi sicuri del nostro affetto e della loro appartenenza ad una rete familiare forte e unita.
Quando si genera un figlio,anche se la scelta è stata responsabile e seriamente pensata, ci si deve confrontare con un figlio che certamente non è quello che si è scelto.. Si sceglie genericamente di avere un figlio ma nasce quel figlio preciso che esige di essere riconosciuto nella sua identità. Nei primissimi anni di vita del bambino ci si illude che egli sia un nostro prolungamento, che senta come noi, che abbia gli stessi nostri desideri: in buona sostanza si è quasi convinti che ciò che è bene per noi lo sia anche per lui. I primi ostacoli, per quanto ci riguarda, sono iniziati quando Paola da appendice di mamma e papà si è pian piano trasformata in una pensioncina autonoma con propri pensieri, gusti, sentimenti … ad un certo punto ci siamo trovati spiazzati: come era possibile che la “nostra” bambina potesse in certi momenti essere così diversa da noi? Dov’era finita la bambolina che potevamo vestire a nostro piacimento, scorrazzare di qua e di là senza che si ribellasse perché le bastava essere con noi? Poco alla volta ci siamo resi conto che nostra figlia doveva essere accettata nella sua singolare personalità, che il nostro progetto di figlio ideale era solo un sogno di perfezione cui avevamo cercato di adeguare il figlio reale.
Ogni genitore porta nello zaino dei sogni che, per cause diverse, non è riuscito a realizzare … ecco allora che il figlio sembra essere un’altra opportunità che la vita ci offre per affermarci e per portare a compimento progetti tanto sognati. Questo è spesso l’errore che Cristina fa con Paola; forse inconsciamente le impone attività e interessi in base ai propri gusti senza tener conto delle reali aspirazioni della bambina. E’ difficile accettare l’”originalità” dei propri figli: più facile desiderare che i figli siano come noi, costa fatica rinunciare a prolungarsi in loro, più facile cercare di farne una copia di noi stessi.
Quotidianamente noi ci sforziamo di promuovere e incoraggiare l’originalità di Luca e Paola senza sottoporli a continui confronti e paragoni con altri … cerchiamo di farli sentire amati per come sono e non per ciò che fanno. Ci piace molto una frase di Gibran : “voi siete l’arco che lancia i figli, le vostre frecce vive, verso il domani”.
Il nostro più intimo desiderio è quello di crescere due belle persone: felici di se stessi, contenti del loro operato,che amino la scuola per il sapere che da essa si può trarre, che assorbano i valori familiari, che siano rispettosi e capaci di dialogo, che accettino le diversità (di sesso, razza, religione, etc), che sappiano cadere senza farsi troppo male e che abbiano la forza di rialzarsi e di ricominciare.
Vorremmo due figli che non temano di affrontare la vita, che abbiano il coraggio e soprattutto la voglia di conoscere il mondo anche se questo potrebbe significare allontanarsi da noi, dal loro paese e dai loro amici. Auguriamo ad entrambi di coltivare un grande sogno, d’inseguirlo e di realizzarlo senza rimanere ingabbiati in schemi imposti da altri … ci auspichiamo che possano e riescano a sentirsi liberi e non legati a stupide convenzioni che impongono modelli comportamentali predefiniti (es: è la figlia femmina che deve correre in soccorso dei genitori). Soprattutto per Paola vogliamo che senta di avere pari dignità e opportunità di Luca (pur nel rispetto della loro biodiversità) e Cristina in particolare le augura di librarsi felice nel cielo della vita senza timori, sensi di colpa o senso d’inadeguatezza … mai, ci siamo ripromessi, sentiranno uscire dalla nostra bocca la peggior frase che a nostro avviso un genitore possa mai pronunciare : “con tutto quello che abbiamo fatto per te”. Non abbiamo generato figli per avere il c.d. “bastone della vecchiaia” … siamo convinti che spingendoli a volare alto, a realizzarsi come persone autonome, al momento opportuno sapranno far ritorno al “nido” offrendo il loro aiuto e il loro sostegno.
L’insegnamento che vorremmo trasmettere loro è che l’amore non teme confini, che si può essere vicini anche se fisicamente lontani e che fare scelte autonome non significa amare di meno che ci circonda … di tutto questo vorremmo riempire il loro zaino personale e, infine, vorremmo affidarli a Qualcuno che li proteggerà e li guiderà sicuramente meglio di noi : Dio.
Cristina