Smacchiare
Le macchie sono sempre in agguato: incidenti a tavola, il movimento quotidiano, inconvenienti che accadono quando si lavora, si studia o si gioca.
Ricordate che una macchia appena fatta non è ancora penetrata nella fibra. Invece una macchia secca è già penetrata nel tessuto ed è priva di solvente, ormai evaporato. Se era costituita da prodotti aggressivi per la fibra o per il colore, ha avuto quindi il tempo di danneggiarli irrimediabilmente.
Agire rapidamente, sciacquare con acqua tiepida o fredda la parte macchiata strofinandola, sono i primi passi per liberarsi dalle macchie improvvise e far seguire immediatamente alla smacchiatura il lavaggio in lavatrice e stendere all'ombra per non formare aloni. Il lavaggio e l’acqua calda possono invece fissare una macchia in modo permanente.
Ricordate che ogni tessuto ha reazioni proprie: se dovete smacchiare un capo nuovo o delicato è consigliabile passare il solvente su una zona non in vista, ad esempio su una cucitura, dentro una tasca, prima di usarlo sulla macchia.
Quando si hanno tessuti delicati, colorati o a fibra pelosa, è bene smacchiare tamponando la macchia senza fregare.
Quando la macchia è penetrata nel tessuto, occorre smacchiare mettendo sotto la stoffa un panno assorbente ( garza di cotone, ovatta, o anche un fazzoletto ripiegato) su cui vadano a fissarsi i residui rimossi dallo smacchiatore.
Per avere i migliori risultati è necessario smacchiare la lana con un panno di lana, la seta con un panno di seta, e così via.
Per evitare la formazione di aloni è bene usare non troppo solvente, e fregare col panno finché il tessuto non è completamente asciutto.
In caso di macchie molto resistenti si consiglia di mettere il capo in ammollo. Non è necessario aggiungere all’acqua dell’ammollo un detersivo per delicati o per bucato a mano. Il pre-trattamento di macchie difficili potrà essere effettuato anche utilizzando latte o acqua salata.
Cosa occorre avere a portata di mano: oltre a stracci di cotone e panni pulitissimi, spugnette, carta assorbente e' indispensabile avere in casa:
a) Saponaria o talco: utile per assorbire le macchie di unto.
b) Sapone: da bucato – meglio di marsiglia - che potete passare asciutto su colletti e polsini (in commercio si trovano buoni prodotti alternativi)
c) Aceto: perchè l'aceto di vino (miscela di acido acetico e acqua) è indicato per risciacquare lana e seta, dopo il lavaggio, eliminando i residui di detersivi e dando brillantezza a queste fibre. Va usato diluito: un cucchiaio in circa un,litro d'acqua. Può opacizzare alcune fibre sintetiche.
d) Acetone, per togliere le macchie di smalto, lacca e vernice, ricordate che danneggia le fibre sintetiche e artificiali.
e) Acqua ossigenata, essendo però più un decolorante che uno smacchiatore deve essere usata con cautela sui tessuti colorati e su quelli sintetici. Si usa normalmente quella a 12 volumi, diluita in acqua ad una percentuale deI 10-20%.
f) Acquaragia, per la vernice (ma lascia aloni).
g) Alcool (etilico, denaturato), un ottimo solvente di origine naturale, adatto per le macchie di inchiostro e morchia, ma va usato con cautela, soprattutto sulle fibre artificiali e sintetiche, e diluito con acqua.
h) Ammoniaca: deve essere usata diluita al 15-20%, non è indicata per i tessuti di lana e seta, non indicata per macchie oleose.
i) Benzina: usata per macchie di olio, grasso, cera e resine. Lascia facilmente alone ed è pericolosa per l'alta infiammabilità e per le esalazioni nocive. Non si può usare su tessuti delicati o cerati.La benzina è spesso l’ultimo rimedio a cui si ricorre in caso di macchie resistenti. È importante però non confondere la benzina per smacchiare (benzina avio) con la benzina per le automobili.
l) Borace: è un sale usato per togliere alcune macchie dal cotone e dal lino.
m) Burro: è uno smacchiatore oltremodo pratico. È facile da eliminare ed è molto efficace nella rimozione di macchie difficili di grasso, catrame e resina. Spalmare del burro sulle macchie e fare agire per un po’ di tempo. Togliere l’eccedenza e tamponare con benzina per smacchiare.
n) Candeggina: da usare con attenzione, perche' indebolisce i tessuti e scolorisce.
o) Etere: solvente altamente infiammabile, dall'odore caratteristico. Si presta a togliere macchie di grasso, morchia e unto. Non deve essere mai usato con tessuti anche misti seta. È molto volatile e lascia difficilmente aloni.
p) Glicerina: per le macchie a base d' acqua, è contenuta in piccole percentuali nei saponi. È utile, in aggiunta ai detersivi sintetici, nel lavaggio degli indumenti di lana per renderli morbidi. Si usa come smacchiatore per togliere particolari tipi di macchie.
q) Latte: contiene lattosio, caseina, sali minerali e grassi. Ha un'acidità bassissima, vicina a ph 7. Serve per smacchiare la pelle e i tessuti delicati.
r) Succo di limone: contiene acido citrico ed acqua. Essendo un acido molto debole è adatto a smacchiare lana e seta, al posto di prodotti più energici. Usato caldo è efficace sulle macchie di ruggine, freddo su quelle della frutta.
s) Sale fino: ottimo per le macchie di vino (va lasciato riposare 10 minuti e poi sciacquato con abbondante acqua), sciolto in acqua calda cancella le macchie di cioccolato.
t) Trementina o essenza di trementina: un solvente simile all'acquaragia. Toglie le macchie di vernice, resina e catrame, grasso, ma lascia spesso l'alone. Va usata con cautela su tessuti delicati.
u) Trielina: uno dei più usati smacchiatori, perché dissolve grasso, olio, vernici. Non lascia alone, essendo molto volatile. È però pericolosa, a causa dell'alta infiammabilità.
venerdì 27 novembre 2009
lunedì 23 novembre 2009
leggendo il corriere...
Natural style
Il lino migliore si trova in Alta Normandia. Da questa pianta antichissima, si ricavano tessuti freschi e raffinati, ma anche ricette gourmand
I cultori dei paesaggi non si perdano la fioritura del lino che tra maggio e giugno tinge di blu le campagne dell’Haute Normandie (dove chiamano amoureuse il terreno pronto per la semina). Da ogni dove, lo sguardo viene catturato dalle distese di corolle azzurre che si srotolano oltre l’orizzonte, spettacolari come le onde di lavanda che hanno reso celebre la Provenza, emozionanti come le campagne dei quadri impressionisti. In questo periodo in tutta la regione, dalla campagna alle falesie sull’oceano, l’orizzonte si tinge di un blu violaceo. Uno spettacolo di straordinaria bellezza, ancor più sorprendente se si pensa alla natura effimera di queste delicate corolle, che il vento dell’Atlantico muove come onde di mare. La loro vita dura solo qualche ora, dalle 10 del mattino, quando si schiudono, alle 2 del pomeriggio, quando sfioriscono. Fugaci, quindi, quanto un raggio di sole nel cielo normanno che arriva e passa con altrettanta rapidità, facendo di questo clima, umido e temperato dall’influsso della Manica, uno dei presupposti ideali per la crescita di un buon lino. Insieme alla terra ricca e profonda e alla maestria di chi la coltiva da generazioni. Ma il lino diventa anche l’ingrediente principe di ricette raffinate e gourmand, protagonista di festival a tema, con sfilate di moda e itinerari linier. Il lino migliore del mondo si coltiva in Alta Normandia, tra il dipartimento dell’Eure e quello della Seine-Maritime. Con 60.000 tonnellate all’anno, su un’estensione di 40.000 ettari, la Francia è la prima produttrice in Europa e la terza in assoluto dopo Russia e Cina. Le ragioni di tanto successo sono dovute al terreno favorevole, al clima perfetto e al savoir faire dei linicoltori. Nel 2006 l’Istituto Tecnico del Lino (I.T.L.) ha aperto nell’Eure, a Écardenville-la-Campagne, una stazione di ricerche applicate sullo sviluppo delle varietà delle colture, unica in Europa, dove si effettuano importanti studi per migliorare la qualità e le proprietà della fibra. Oltre alle maison più blasonate della moda, molti giovani creativi disegnano abiti in lino o sperimentano nuove combinazioni con materiali diversi.
Il fatto più sorprendente è che quasi l’80 % della produzione francese è destinata alla Cina, dove la lavorazione è scadente e le stoffe svendute a basso costo. La Normandia non ha, infatti, un controllo totale della filiera: il lino, una volta pettinato, parte per Asia, Belgio e Italia, che si occupano della filatura e della tessitura. Per riconoscerne la provenienza esiste, però, un marchio di qualità, Masters of Linen, che garantisce l’origine del lino coltivato e trasformato all’interno dell’Unione Europea, nel rispetto delle regole ambientali. Quella del lino è una pianta antichissima, già utilizzata 8000 anni prima di Cristo, che ha avuto il suo apogeo nel XIX secolo per poi subire un arresto con il dilagare del cotone, che rappresenta il 45% dei consumi mondiali di fibre tessili. Una rinnovata attenzione a tutto ciò che è eco-compatibile l’ha riportata in auge e agli onori della cronaca.
Carlotta Lombardo
Il lino migliore si trova in Alta Normandia. Da questa pianta antichissima, si ricavano tessuti freschi e raffinati, ma anche ricette gourmand
I cultori dei paesaggi non si perdano la fioritura del lino che tra maggio e giugno tinge di blu le campagne dell’Haute Normandie (dove chiamano amoureuse il terreno pronto per la semina). Da ogni dove, lo sguardo viene catturato dalle distese di corolle azzurre che si srotolano oltre l’orizzonte, spettacolari come le onde di lavanda che hanno reso celebre la Provenza, emozionanti come le campagne dei quadri impressionisti. In questo periodo in tutta la regione, dalla campagna alle falesie sull’oceano, l’orizzonte si tinge di un blu violaceo. Uno spettacolo di straordinaria bellezza, ancor più sorprendente se si pensa alla natura effimera di queste delicate corolle, che il vento dell’Atlantico muove come onde di mare. La loro vita dura solo qualche ora, dalle 10 del mattino, quando si schiudono, alle 2 del pomeriggio, quando sfioriscono. Fugaci, quindi, quanto un raggio di sole nel cielo normanno che arriva e passa con altrettanta rapidità, facendo di questo clima, umido e temperato dall’influsso della Manica, uno dei presupposti ideali per la crescita di un buon lino. Insieme alla terra ricca e profonda e alla maestria di chi la coltiva da generazioni. Ma il lino diventa anche l’ingrediente principe di ricette raffinate e gourmand, protagonista di festival a tema, con sfilate di moda e itinerari linier. Il lino migliore del mondo si coltiva in Alta Normandia, tra il dipartimento dell’Eure e quello della Seine-Maritime. Con 60.000 tonnellate all’anno, su un’estensione di 40.000 ettari, la Francia è la prima produttrice in Europa e la terza in assoluto dopo Russia e Cina. Le ragioni di tanto successo sono dovute al terreno favorevole, al clima perfetto e al savoir faire dei linicoltori. Nel 2006 l’Istituto Tecnico del Lino (I.T.L.) ha aperto nell’Eure, a Écardenville-la-Campagne, una stazione di ricerche applicate sullo sviluppo delle varietà delle colture, unica in Europa, dove si effettuano importanti studi per migliorare la qualità e le proprietà della fibra. Oltre alle maison più blasonate della moda, molti giovani creativi disegnano abiti in lino o sperimentano nuove combinazioni con materiali diversi.
Il fatto più sorprendente è che quasi l’80 % della produzione francese è destinata alla Cina, dove la lavorazione è scadente e le stoffe svendute a basso costo. La Normandia non ha, infatti, un controllo totale della filiera: il lino, una volta pettinato, parte per Asia, Belgio e Italia, che si occupano della filatura e della tessitura. Per riconoscerne la provenienza esiste, però, un marchio di qualità, Masters of Linen, che garantisce l’origine del lino coltivato e trasformato all’interno dell’Unione Europea, nel rispetto delle regole ambientali. Quella del lino è una pianta antichissima, già utilizzata 8000 anni prima di Cristo, che ha avuto il suo apogeo nel XIX secolo per poi subire un arresto con il dilagare del cotone, che rappresenta il 45% dei consumi mondiali di fibre tessili. Una rinnovata attenzione a tutto ciò che è eco-compatibile l’ha riportata in auge e agli onori della cronaca.
Carlotta Lombardo
sabato 21 novembre 2009
Il commercio regola il mondo - La storia degli accordi multilaterali
Già nel XVI secolo il navigatore inglese Walter Raleigh sosteneva che chi controlla il commercio controlla il mondo, ma il progetto di un governo mondiale dell’economia ha origini più recenti: negli anni ’30 del secolo scorso, infatti, gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Roosevelt, volendo dare una svolta liberista all’economia mondiale avevano già abbozzato un progetto di commercio globale. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale rimandò temporaneamente il programma, ma già verso la fine del conflitto i dirigenti delle potenze alleate, capitanate da USA e Gran Bretagna, gettarono le basi per la ricostruzione economica del mondo, assegnando al commercio internazionale il ruolo di leva dei nuovi processi di sviluppo. Accanto a un’istituzione bancaria (la Banca Mondiale) e a una finanziaria (il Fondo Monetario Internazionale), sarebbe dovuta nascere l’Organizzazione Internazionale del Commercio (ITO), cui affidare le nuove regole degli scambi commerciali, dotata di una vasta autonomia. L’ITO ebbe però una gestazione difficile, che non le permise di nascere, a causa dei contrasti interni agli Stati Uniti, padroni allora il 30% del commercio mondiale, ove prevalsero interessi protezionistici.
La nascita del GATT
Riuscì invece a nascere nel 1947 un Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio (GATT), che per decenni condusse trattative e cercò di risolvere le controversie tra gli aderenti (passati da 23 Stati nel 1947 a 123 nel 1993). Il GATT aveva lo scopo di liberalizzare il commercio agricolo e industriale, contribuire alla ripresa economica e sviluppare il benessere dei popoli.
Nel 1964 fu fondata la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), un organismo intergovernativo permanente con l’obiettivo di massimizzare nei Paesi del Sud del mondo le possibilità di crescita, commercio e investimento. Nonostante ciò, il GATT rimase l’ambito negoziale principale, anche se non era un sistema realmente rappresentativo, data l'esclusione di molti Paesi in via di sviluppo (che hanno sempre avuto un ruolo marginale e spesso passivo) e dei Paesi collettivisti (l’ex Unione Sovietica e i suoi alleati).
La piena liberalizzazione era un traguardo lontano, il GATT si accontentò di passare dall’unilateralismo (tendenza economica per cui una nazione ostacola deliberatamente le esportazioni estere nel proprio territorio) e dal bilateralismo (uno o più Stati concordano vantaggi reciproci ma continuano a proteggersi dagli altri) al multilateralismo (se uno Stato accorda un vantaggio a un altro, automaticamente quel vantaggio è esteso a tutti).
Nei suoi 46 anni di vita il GATT realizzò otto lunghi cicli di negoziati, che portarono a una notevole riduzione delle tariffe doganali.
Nasce la WTO
Nel 1994, dietro la pressione soprattutto degli ambienti finanziari internazionali, desiderosi di garantire la propria libertà d’azione, il GATT esaurisce la sua attività. L'anno successivo dà origine all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO), che amplia le aree d’intervento ai servizi e alla proprietà intellettuale (diritti d’autore, marchi, brevetti). L'organizzazione ha capovolto le politiche protezioniste ancora tollerate dal GATT e ha assunto il potere non solo di vigilare sul rispetto delle norme, ma anche di farle applicare in tempi brevi con strumenti anche coercitivi, quali l'applicazione di sanzioni. Essa si pone inoltre come garante che lo sviluppo di blocchi regionali non crei barriere al commercio mondiale; può dichiarare le leggi nazionali contrarie alla libertà di commercio e domandarne l’abrogazione.
La natura stessa dell'organizzazione, nata per garantire il libero commercio e l'abolizione del protezionismo, ha fatto sì che nel tempo ci sia stato uno sconfinamento del suo campo d'azione dall'ambito prettamente commerciale a tutte le attività umane (la salute, la protezione ambientale, la cultura, il lavoro, l’uso delle sementi, dell’acqua e dell’aria), che in questa prospettiva vengono considerate e gestite secondo le logiche mercantili. Si creano così situazioni limite: se un Paese decide di ostacolare pesantemente l'importazione di merci prodotte sfruttando il lavoro minorile, la WTO interviene stabilendo che questo atteggiamento impedisce la libera concorrenza; oppure se uno Stato impone delle tasse alle imprese straniere che trasportano petrolio sulle proprie strade come risarcimento per l’inquinamento procurato, la WTO avverte che non bisogna discriminare le multinazionali straniere.
Eppure il lavoro, l’ambiente, la salute e la cultura sono tutelati dalla comunità internazionale tramite le agenzie dell’ONU. Ma quando i principi di queste ultime entrano in conflitto con le regole del libero commercio, com’è facile che sia in un mondo globalizzato, la WTO si sottrae a un confronto paritetico, sostenendo la superiorità delle proprie decisioni su quelle delle agenzie delle Nazioni Unite.
Limiti della WTO
La logica mercantile della WTO ha due limiti oggettivi. Il primo difetto di questo modello – peraltro estremamente produttivo sul piano economico - che cerca di regolamentare il pianeta, è costituito dalla contraddizione tra il multilateralismo, che vede numerosi uguali competitori nella libera arena planetaria, e il regionalismo, che è la tendenza di alcuni Paesi a liberalizzare il commercio tra loro, discriminando però i Paesi non membri dell’accordo attraverso un’elevata protezione. La filosofia del “chi fa da sé fa per tre” contrapposta a quella de “l’unione fa la forza”. Questa contraddizione, che non sembra destinata a essere risolta nel breve periodo, si comporrà a più lungo termine perché lo stesso multilateralismo ammette eccezioni e tempi lunghi e lo stesso regionalismo tende a stabilire accordi liberisti con gli altri blocchi.
Il secondo difetto è costituito dallo sfruttamento eccessivo e poco efficiente delle risorse naturali, indipendentemente da chi ne è responsabile; in una realtà sempre più globalizzata e orientata alla tutela del pianeta, inteso come un unico organismo vivente, non vengono presi in considerazione in alcun modo gli impatti ambientali e umani di una tale politica commerciale. È possibile, e fortemente auspicabile, che primo o poi l'organizzazione tenga in seria considerazione le esigenze planetarie.
La nascita del GATT
Riuscì invece a nascere nel 1947 un Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio (GATT), che per decenni condusse trattative e cercò di risolvere le controversie tra gli aderenti (passati da 23 Stati nel 1947 a 123 nel 1993). Il GATT aveva lo scopo di liberalizzare il commercio agricolo e industriale, contribuire alla ripresa economica e sviluppare il benessere dei popoli.
Nel 1964 fu fondata la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), un organismo intergovernativo permanente con l’obiettivo di massimizzare nei Paesi del Sud del mondo le possibilità di crescita, commercio e investimento. Nonostante ciò, il GATT rimase l’ambito negoziale principale, anche se non era un sistema realmente rappresentativo, data l'esclusione di molti Paesi in via di sviluppo (che hanno sempre avuto un ruolo marginale e spesso passivo) e dei Paesi collettivisti (l’ex Unione Sovietica e i suoi alleati).
La piena liberalizzazione era un traguardo lontano, il GATT si accontentò di passare dall’unilateralismo (tendenza economica per cui una nazione ostacola deliberatamente le esportazioni estere nel proprio territorio) e dal bilateralismo (uno o più Stati concordano vantaggi reciproci ma continuano a proteggersi dagli altri) al multilateralismo (se uno Stato accorda un vantaggio a un altro, automaticamente quel vantaggio è esteso a tutti).
Nei suoi 46 anni di vita il GATT realizzò otto lunghi cicli di negoziati, che portarono a una notevole riduzione delle tariffe doganali.
Nasce la WTO
Nel 1994, dietro la pressione soprattutto degli ambienti finanziari internazionali, desiderosi di garantire la propria libertà d’azione, il GATT esaurisce la sua attività. L'anno successivo dà origine all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO), che amplia le aree d’intervento ai servizi e alla proprietà intellettuale (diritti d’autore, marchi, brevetti). L'organizzazione ha capovolto le politiche protezioniste ancora tollerate dal GATT e ha assunto il potere non solo di vigilare sul rispetto delle norme, ma anche di farle applicare in tempi brevi con strumenti anche coercitivi, quali l'applicazione di sanzioni. Essa si pone inoltre come garante che lo sviluppo di blocchi regionali non crei barriere al commercio mondiale; può dichiarare le leggi nazionali contrarie alla libertà di commercio e domandarne l’abrogazione.
La natura stessa dell'organizzazione, nata per garantire il libero commercio e l'abolizione del protezionismo, ha fatto sì che nel tempo ci sia stato uno sconfinamento del suo campo d'azione dall'ambito prettamente commerciale a tutte le attività umane (la salute, la protezione ambientale, la cultura, il lavoro, l’uso delle sementi, dell’acqua e dell’aria), che in questa prospettiva vengono considerate e gestite secondo le logiche mercantili. Si creano così situazioni limite: se un Paese decide di ostacolare pesantemente l'importazione di merci prodotte sfruttando il lavoro minorile, la WTO interviene stabilendo che questo atteggiamento impedisce la libera concorrenza; oppure se uno Stato impone delle tasse alle imprese straniere che trasportano petrolio sulle proprie strade come risarcimento per l’inquinamento procurato, la WTO avverte che non bisogna discriminare le multinazionali straniere.
Eppure il lavoro, l’ambiente, la salute e la cultura sono tutelati dalla comunità internazionale tramite le agenzie dell’ONU. Ma quando i principi di queste ultime entrano in conflitto con le regole del libero commercio, com’è facile che sia in un mondo globalizzato, la WTO si sottrae a un confronto paritetico, sostenendo la superiorità delle proprie decisioni su quelle delle agenzie delle Nazioni Unite.
Limiti della WTO
La logica mercantile della WTO ha due limiti oggettivi. Il primo difetto di questo modello – peraltro estremamente produttivo sul piano economico - che cerca di regolamentare il pianeta, è costituito dalla contraddizione tra il multilateralismo, che vede numerosi uguali competitori nella libera arena planetaria, e il regionalismo, che è la tendenza di alcuni Paesi a liberalizzare il commercio tra loro, discriminando però i Paesi non membri dell’accordo attraverso un’elevata protezione. La filosofia del “chi fa da sé fa per tre” contrapposta a quella de “l’unione fa la forza”. Questa contraddizione, che non sembra destinata a essere risolta nel breve periodo, si comporrà a più lungo termine perché lo stesso multilateralismo ammette eccezioni e tempi lunghi e lo stesso regionalismo tende a stabilire accordi liberisti con gli altri blocchi.
Il secondo difetto è costituito dallo sfruttamento eccessivo e poco efficiente delle risorse naturali, indipendentemente da chi ne è responsabile; in una realtà sempre più globalizzata e orientata alla tutela del pianeta, inteso come un unico organismo vivente, non vengono presi in considerazione in alcun modo gli impatti ambientali e umani di una tale politica commerciale. È possibile, e fortemente auspicabile, che primo o poi l'organizzazione tenga in seria considerazione le esigenze planetarie.
La nuova Europa - Alla ricerca di un equilibrio economico
Fin dalla sua istituzione, la Comunità Europea ha dovuto fronteggiare uno squilibrio congenito tra un Nord, più ricco, e un Sud con livelli di reddito inferiori. Questa disparità ha determinato ingenti flussi migratori di lavoratori dai Paesi latino-mediterranei verso le economie di Germania, Svizzera, Benelux e Francia, dalle aree a prevalente attività agricola a quelle più industrializzate.
A sostegno delle attività agricole, il 30 giugno 1960, la Commissione europea presentava le prime proposte per l'istituzione di una politica agricola comune (PAC), basata sul mercato unico e sulla solidarietà finanziaria. Quasi la metà dei fondi comuni veniva destinata all’agricoltura, per favorire la politica dell’autosufficienza attraverso lo sviluppo della produzione alimentare di base. Nel corso degli anni, l’occupazione nel settore agricolo è diminuita sensibilmente, la PAC è più orientata a favorire l’agricoltura sostenibile e la biodiversità rurale, ma gli investimenti in questo settore sono rimasti molto alti, tanto da rappresentare motivo di contenzioso, all'esterno, con gli USA e con i Paesi del Sud del mondo, nell’ambito degli accordi con il WTO (World Trade Organization), l’organizzazione del commercio mondiale, perché contro la liberalizzazione dei mercati. All'interno dell'Unione, la PAC ha costituito motivo di contrasto tra la "linea francese" di Chirac, favorevole a mantenere nel settore agricolo il 40% degli investimenti, e la "linea inglese" di Blair che la contesta a favore di investimenti diversificati in altri settori.
Europa a due velocità
Il Muro di Berlino, costruito nel 1949 e abbattuto nel 1989, ha segnato la demarcazione tra Paesi europei con diverso ritmo di industrializzazione, separando gli Stati con alto reddito pro capite da quelli più poveri.
Con la caduta del Muro, si è innescato un processo di riequilibrio economico, potente e relativamente veloce, che ha assunto una precisa dimensione politica, segnata dall’allargamento dell’Unione Europea nel 2004, e una connotazione commerciale, sempre più caratterizzata da consistenti flussi di investimento produttivo e delocalizzazioni industriali nell’Est europeo.
Attualmente, dovendo rappresentare i dati relativi al reddito, alla produzione industriale, alla crescita delle aree urbane, alla distribuzione dei servizi e dei centri decisionali in Europa, si evidenzia un’area centrale di alto livello e una serie di cerchi concentrici, aree di progressiva diminuzione del potenziale economico. Le zone periferiche sono quelle verso cui l’Unione indirizza i fondi di riequilibrio, una spesa ingente nel bilancio comunitario.
Il recente ampliamento dell’Unione Europea, con dieci nuove adesioni, rappresenta una sfida significativa rispetto al processo di integrazione economica dei decenni passati: non solo non si era mai verificato un allargamento così esteso, ma in tutti i nuovi Paesi membri il livello medio di reddito pro capite è inferiore a quello degli altri Stati dell’Unione.
Un quadro in continua evoluzione
L’Unione Europea si presenta comunque come una delle aree più ricche del pianeta. Negli ultimi dieci anni è diventato crescente e difficile da gestire anche il fenomeno della pressione migratoria, soprattutto illegale, proveniente dalle aree povere o conflittuali dell’Africa e dell’Asia. Anche condizioni “invivibili”, nello standard europeo, sono accettabili per migliaia e migliaia di persone che possono trovare nei Paesi dell’Unione Europea la speranza di uscire dalla povertà senza prospettive.
È un problema sempre più assillante non solo per i Paesi in prima linea (Italia, Spagna e Grecia nel Mediterraneo, Germania e Austria nella Mitteleuropa), ma per l’insieme dei Paesi comunitari.
Tuttavia, la crescita economica e la diffusione del benessere nella UE potrebbero non essere più garantite, per mancanza di fondi e anche perché l’Unione Europea sta ripensando il proprio modello di sviluppo e di protezione sociale dei cittadini, dovendosi confrontare con le spinte destrutturanti dell’economia globalizzata e con il modello socio-economico degli Stati Uniti, più flessibile, più competitivo e meno "statalizzato".
Cambiamenti sensibili nei settori dell’intervento pubblico (sanità, istruzione, prestazioni pensionistiche) possono essere fonte di tensioni sociali che l’Europa vuole controllare e mantenere a livelli accettabili, memore delle profonde divisioni e dei conflitti politici e sociali del passato, limitando il proprio intervento ai fondi di riequilibrio per non interferire con le politiche dei singoli Stati.
Inoltre, un discreto numero di imprese europee ha spostato la produzione di beni in Asia e in America Latina, potendo contare su un sistema di trasporti integrato e sufficientemente avanzato da ridurre i costi. L’Europa orientale, pur essendo un interessante sbocco per investimenti di capitale e delocalizzazione produttiva, deve quindi subire la concorrenza di produttori (asiatici soprattutto) che ne riducono la competitività.
L’Europa unita dai corridoi
Una delle strategie più efficaci per abbattere il forte differenziale tra le diverse realtà economiche dell’Unione, è rappresentata dalla creazione di grandi infrastrutture nel campo dei trasporti. Attraverso queste reti, infatti, si intende potenziare il mercato interno, in continua espansione, creando nuove opportunità di occupazione, di crescita economica e di cooperazione tra gli Stati membri.
Il concetto di rete transeuropea inizia a concretizzarsi negli anni Novanta, con le conferenze paneuropee sui trasporti: a Creta nel 1994 e a Helsinki nel 1997. In queste occasioni, sulla base dell’analisi dei fabbisogni e del rapporto di pianificazione presentato già nel 1991, sono stati individuati dieci “corridoi”: zone di collegamento strategiche, localizzate in modo da favorire lo scambio a livello continentale e la crescita delle aree circostanti, dove costruire e potenziare autostrade, ferrovie ad alta velocità, aeroporti, ma anche vie fluviali per il trasporto combinato di merci.
I principali corridoi sono individuati proprio nell’Europa dell’Est, di vitale importanza per sviluppare il traffico internazionale fino all’ex Unione Sovietica e verso l’Asia. Tra i più notevoli, spiccano il Corridoio VII, che si sviluppa lungo il Danubio, arteria di grande espansione economica, caratterizzata dalla presenza di acciaierie, cementifici, raffinerie di petrolio, e il Corridoio V, il più appetibile per l’Italia. Il Corridoio V collega infatti il Nord-Est italiano, fino al porto di Trieste, all’area balcanica (Croazia, Slovenia, Ungheria…). In questa zona, l’Italia rappresenta il principale o uno dei principali partner commerciali non solo per le esportazioni ma anche per le numerose delocalizzazioni degli ultimi anni, che hanno visto il trasferimento di segmenti di imprese o di intere unità produttive.
Per la sua conformazione, il Corridoio V può essere considerato la prosecuzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino – Milano – Venezia – Trieste, a sua volta collegata al tunnel ferroviario Torino - Lione.
Il reticolo transeuropeo è destinato ad ampliarsi e a infittirsi, con l'aggiunta e il collegamento di ulteriori nodi: nella prospettiva dei futuri allargamenti, i Corridoi potranno giocare un ruolo sempre più strategico, rendendo il mercato comune e la stessa Unione Europea più accessibili.
A sostegno delle attività agricole, il 30 giugno 1960, la Commissione europea presentava le prime proposte per l'istituzione di una politica agricola comune (PAC), basata sul mercato unico e sulla solidarietà finanziaria. Quasi la metà dei fondi comuni veniva destinata all’agricoltura, per favorire la politica dell’autosufficienza attraverso lo sviluppo della produzione alimentare di base. Nel corso degli anni, l’occupazione nel settore agricolo è diminuita sensibilmente, la PAC è più orientata a favorire l’agricoltura sostenibile e la biodiversità rurale, ma gli investimenti in questo settore sono rimasti molto alti, tanto da rappresentare motivo di contenzioso, all'esterno, con gli USA e con i Paesi del Sud del mondo, nell’ambito degli accordi con il WTO (World Trade Organization), l’organizzazione del commercio mondiale, perché contro la liberalizzazione dei mercati. All'interno dell'Unione, la PAC ha costituito motivo di contrasto tra la "linea francese" di Chirac, favorevole a mantenere nel settore agricolo il 40% degli investimenti, e la "linea inglese" di Blair che la contesta a favore di investimenti diversificati in altri settori.
Europa a due velocità
Il Muro di Berlino, costruito nel 1949 e abbattuto nel 1989, ha segnato la demarcazione tra Paesi europei con diverso ritmo di industrializzazione, separando gli Stati con alto reddito pro capite da quelli più poveri.
Con la caduta del Muro, si è innescato un processo di riequilibrio economico, potente e relativamente veloce, che ha assunto una precisa dimensione politica, segnata dall’allargamento dell’Unione Europea nel 2004, e una connotazione commerciale, sempre più caratterizzata da consistenti flussi di investimento produttivo e delocalizzazioni industriali nell’Est europeo.
Attualmente, dovendo rappresentare i dati relativi al reddito, alla produzione industriale, alla crescita delle aree urbane, alla distribuzione dei servizi e dei centri decisionali in Europa, si evidenzia un’area centrale di alto livello e una serie di cerchi concentrici, aree di progressiva diminuzione del potenziale economico. Le zone periferiche sono quelle verso cui l’Unione indirizza i fondi di riequilibrio, una spesa ingente nel bilancio comunitario.
Il recente ampliamento dell’Unione Europea, con dieci nuove adesioni, rappresenta una sfida significativa rispetto al processo di integrazione economica dei decenni passati: non solo non si era mai verificato un allargamento così esteso, ma in tutti i nuovi Paesi membri il livello medio di reddito pro capite è inferiore a quello degli altri Stati dell’Unione.
Un quadro in continua evoluzione
L’Unione Europea si presenta comunque come una delle aree più ricche del pianeta. Negli ultimi dieci anni è diventato crescente e difficile da gestire anche il fenomeno della pressione migratoria, soprattutto illegale, proveniente dalle aree povere o conflittuali dell’Africa e dell’Asia. Anche condizioni “invivibili”, nello standard europeo, sono accettabili per migliaia e migliaia di persone che possono trovare nei Paesi dell’Unione Europea la speranza di uscire dalla povertà senza prospettive.
È un problema sempre più assillante non solo per i Paesi in prima linea (Italia, Spagna e Grecia nel Mediterraneo, Germania e Austria nella Mitteleuropa), ma per l’insieme dei Paesi comunitari.
Tuttavia, la crescita economica e la diffusione del benessere nella UE potrebbero non essere più garantite, per mancanza di fondi e anche perché l’Unione Europea sta ripensando il proprio modello di sviluppo e di protezione sociale dei cittadini, dovendosi confrontare con le spinte destrutturanti dell’economia globalizzata e con il modello socio-economico degli Stati Uniti, più flessibile, più competitivo e meno "statalizzato".
Cambiamenti sensibili nei settori dell’intervento pubblico (sanità, istruzione, prestazioni pensionistiche) possono essere fonte di tensioni sociali che l’Europa vuole controllare e mantenere a livelli accettabili, memore delle profonde divisioni e dei conflitti politici e sociali del passato, limitando il proprio intervento ai fondi di riequilibrio per non interferire con le politiche dei singoli Stati.
Inoltre, un discreto numero di imprese europee ha spostato la produzione di beni in Asia e in America Latina, potendo contare su un sistema di trasporti integrato e sufficientemente avanzato da ridurre i costi. L’Europa orientale, pur essendo un interessante sbocco per investimenti di capitale e delocalizzazione produttiva, deve quindi subire la concorrenza di produttori (asiatici soprattutto) che ne riducono la competitività.
L’Europa unita dai corridoi
Una delle strategie più efficaci per abbattere il forte differenziale tra le diverse realtà economiche dell’Unione, è rappresentata dalla creazione di grandi infrastrutture nel campo dei trasporti. Attraverso queste reti, infatti, si intende potenziare il mercato interno, in continua espansione, creando nuove opportunità di occupazione, di crescita economica e di cooperazione tra gli Stati membri.
Il concetto di rete transeuropea inizia a concretizzarsi negli anni Novanta, con le conferenze paneuropee sui trasporti: a Creta nel 1994 e a Helsinki nel 1997. In queste occasioni, sulla base dell’analisi dei fabbisogni e del rapporto di pianificazione presentato già nel 1991, sono stati individuati dieci “corridoi”: zone di collegamento strategiche, localizzate in modo da favorire lo scambio a livello continentale e la crescita delle aree circostanti, dove costruire e potenziare autostrade, ferrovie ad alta velocità, aeroporti, ma anche vie fluviali per il trasporto combinato di merci.
I principali corridoi sono individuati proprio nell’Europa dell’Est, di vitale importanza per sviluppare il traffico internazionale fino all’ex Unione Sovietica e verso l’Asia. Tra i più notevoli, spiccano il Corridoio VII, che si sviluppa lungo il Danubio, arteria di grande espansione economica, caratterizzata dalla presenza di acciaierie, cementifici, raffinerie di petrolio, e il Corridoio V, il più appetibile per l’Italia. Il Corridoio V collega infatti il Nord-Est italiano, fino al porto di Trieste, all’area balcanica (Croazia, Slovenia, Ungheria…). In questa zona, l’Italia rappresenta il principale o uno dei principali partner commerciali non solo per le esportazioni ma anche per le numerose delocalizzazioni degli ultimi anni, che hanno visto il trasferimento di segmenti di imprese o di intere unità produttive.
Per la sua conformazione, il Corridoio V può essere considerato la prosecuzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino – Milano – Venezia – Trieste, a sua volta collegata al tunnel ferroviario Torino - Lione.
Il reticolo transeuropeo è destinato ad ampliarsi e a infittirsi, con l'aggiunta e il collegamento di ulteriori nodi: nella prospettiva dei futuri allargamenti, i Corridoi potranno giocare un ruolo sempre più strategico, rendendo il mercato comune e la stessa Unione Europea più accessibili.
Gli orizzonti dell'etica
Nella concezione antropologica di cultura, secondo l'accezione di Edward Tylor, l'etica è uno degli elementi caratterizzanti di una società insieme alle leggi, alla religione, alla lingua e ai costumi. Ogni popolo ha infatti dei modelli di comportamento a cui ispirarsi, che variano nelle diverse culture. In tale prospettiva l'etica si occupa di analizzare in modo scientifico i comportamenti umani nella loro dimensione concreta e quotidiana, tenendo conto anche dei valori che vi stanno alla base, comunemente detti “morale”. Etica infatti non è sinonimo di morale, ma è riflessione sui valori morali: per esempio sui concetti di bene, verità, virtù, ...
Da qualche decennio il termine etica viene usato anche in un’altra accezione, in rapporto a specifici campi della vita umana (si tratta infatti di etiche applicate): etica degli affari o dell'economia, etica ambientale, etica animalista, etica della comunicazione o dei media, bioetica.
Bioetica: origini di una disciplina
Il significato attuale del termine viene utilizzato per la prima volta negli anni ‘70 del Novecento, quando Van Rensselaer Potter scrisse un articolo in cui si proponeva di trovare una nuova disciplina che potesse dare più significato morale alle scienze sperimentali, coniugandole con la realizzazione di un’elevata qualità della vita.
Ma le origini della bioetica modernamente intesa vanno cercate nel contesto storico-culturale della prima metà del XX secolo. Fu allora che si verificarono tre situazioni che gettarono le basi per la bioetica contemporanea: il dibattito sulle responsabilità etiche della scienza, nato nell’ambito delle ricerche sull’energia atomica; i crimini contro l'umanità, perpetrati durante i totalitarismi di Stalin, Mussolini e Hitler nei gulag, nelle foibe e nei campi di concentramento; le sperimentazioni mediche “selvagge” nel secondo Dopoguerra su alcune categorie di persone, considerate “inferiori”.
Il dibattito sulle responsabilità etiche della scienza ha coinvolto gli scienziati atomici negli anni Quaranta del XX secolo: le ricerche sull’energia atomica, nate dall’approfondimento della fisica teorica, avevano dimostrato quanto questa forma di energia potesse essere utile, per esempio per la produzione di energia per uso civile, ma anche distruttiva, se utilizzata per creare bombe atomiche. Il dibattito fu molto acceso, considerato anche il contesto storico di un conflitto mondiale in corso.
Nell’immediato Dopoguerra il Processo di Norimberga rappresentò una sorta di presa di coscienza "epocale" di ciò che era accaduto e che non sarebbe dovuto più accadere. Tra gli imputati, infatti, vi erano anche scienziati e medici che avevano deliberatamente messo se stessi e la propria conoscenza al servizio del regime nazista e delle sperimentazioni criminali che esso richiedeva ed esaltava.
Al processo il loro atteggiamento venne giudicato doppiamente colpevole: infatti queste persone non solo avevano violato i diritti umani, a tutela dei quali nel 1948 l’ONU promulgò un documento internazionale sottoscritto e approvato da tutti gli Stati membri, ma avevano commesso reato anche contro la comunità scientifica, violando apertamente il codice di condotta morale a cui medici e scienziati aderiscono e la cui base prevede l’uso della scienza per il bene dell’intera umanità.
Fu in tale contesto che venne redatto il Codice di Norimberga, che può essere considerato il progenitore dei moderni codici deontologici, periodicamente rivisti dagli Ordini dei Medici dei diversi Paesi.
Le sperimentazioni mediche su esseri umani sono un fenomeno secolare, ma solo nel Novecento hanno assunto proporzioni e gravità tali da suscitare materia di dibattito.
Nei campi di concentramento nazisti venivano usati come cavie esseri umani considerati inferiori perché appartenenti a determinate categorie disdicevoli da una prospettiva sociale o razziale (detenuti, condannati a morte, ebrei). Queste persone erano utilizzate sia per la normale ricerca medica, senza naturalmente che venisse chiesto loro alcun consenso, sia per esperimenti puramente arbitrari. In tale clima culturale le teorie eugenetiche formulate alla fine dell’Ottocento furono messe al servizio del credo nazista, provocando, tra l’altro sterilizzazioni di massa di categorie “impure” e selezioni genetiche di individui “idonei”.
Il fenomeno delle sperimentazioni senza controllo, purtroppo, sebbene attenuato, non si spense e continuò latente su quasi tutto il pianeta.
Fu però negli anni ’60 che si assistette a una nuova ondata di sperimentazioni, nonostante l‘acquisita consapevolezza delle responsabilità etiche della scienza e le carte internazionali sui diritti umani e su quelli del malato.
Anche in quel caso furono effettuati studi medici su alcune categorie di persone senza rispettare le prescrizioni dei codici deontologici internazionali. Il dibattito si accentuò e diede come risultato la nascita, tra il 1962 e il 1964, della Dichiarazione di Helsinki, con cui l'Associazione Medica Mondiale fissò le norme e i criteri di tipo deontologico per le sperimentazioni mediche sulle persone umane. Il codice, revisionato periodicamente, è ancora oggi il principale punto di riferimento sia per la deontologia medica sia per la ricerca scientifica su esseri umani.
Etica dei consumi
Accanto alle questioni legate alle scoperte scientifiche, esiste un altro importante filone di “etica applicata”. L’uomo occidentale, sempre più globalizzato, sente forti gli squilibri tra il proprio stile di vita e quello dei Paesi più poveri. Ne deriva uno stimolo a conoscere e cercare di capire realtà e culture lontane, supportandone lo sviluppo. Alla domanda, segue la risposta dei consumi considerati alternativi: finanza etica, commercio equo e solidale, turismo responsabile, aziende “socialmente responsabili” e tanti altri servizi il cui valore si misura non solo con la qualità, ma in base all’equità del processo di produzione e delle condizioni di lavoro e al rispetto per l’ambiente.
SVILUPPO SOSTENIBILE
Le risorse naturali vengono classificate come rinnovabili o non rinnovabili, in funzione della possibilità di rigenerarle in una scala di tempo umana. L’energia solare, ad esempio, è una risorsa praticamente inesauribile. Allo stesso modo, lo è l’energia delle maree, l’energia eolica o l’energia idroelettrica, le quali provengono tutte, in ultima analisi, dall’energia solare.
I combustibili fossili, come il carbone, il petrolio ed il gas naturale, ebbero anch’essi origine dall’energia solare, fissata dalla fotosintesi di vegetali che vissero milioni di anni fa. Ma, praticamente, queste forme di energia non sono rinnovabili, poiché la loro formazione è molto lenta. Il suolo è un altro esempio di risorsa che, almeno in determinate condizioni, non è rinnovabile per la stessa ragione.
Gli organismi che l’uomo raccoglie, caccia o pesca per il suo consumo sono, al principio, risorse rinnovabili. Tuttavia, il loro sfruttamento eccessivo può limitare la loro capacità di rinnovamento, o persino esaurirle. Un bosco, ad esempio, può essere sfruttato razionalmente in maniera tale che produca in forma continua, oppure può essere completamente disboscato, per estrarre il massimo beneficio economico, per poi spostarsi e sfruttare un altro bosco. Questa forma di spoliazione, che tuttavia continua, è quella che, con alcune eccezioni, ha caratterizzato lo sviluppo dell’umanità.
L’acqua offre un altro esempio. La quantità d’acqua che circola nel pianeta non è variata in maniera considerevole durante la storia dell’umanità. Il ciclo dell’acqua è incaricato di rinnovare continuamente questa risorsa e tuttavia la quantità di acqua potabile, che è l’autentica risorsa di cui gli uomini hanno bisogno, è diminuita in maniera allarmante negli ultimi due secoli.
Lo sviluppo sostenibile è quello che razionalizza lo sfruttamento ed il consumo delle risorse rinnovabili e limita, cercando alternative, l’utilizzo di risorse non rinnovabili. In un senso più ampio, che è quello che deve prevalere, lo sviluppo sostenibile è quello che preserva la qualità delle risorse, non solo per gli esseri umani, ma per l’insieme della biosfera. Unire lo sviluppo sostenibile con il progresso economico e la generazione di ricchezze è senza alcun dubbio la sfida più grande che l’umanità affronta al giorno d’oggi.
I combustibili fossili, come il carbone, il petrolio ed il gas naturale, ebbero anch’essi origine dall’energia solare, fissata dalla fotosintesi di vegetali che vissero milioni di anni fa. Ma, praticamente, queste forme di energia non sono rinnovabili, poiché la loro formazione è molto lenta. Il suolo è un altro esempio di risorsa che, almeno in determinate condizioni, non è rinnovabile per la stessa ragione.
Gli organismi che l’uomo raccoglie, caccia o pesca per il suo consumo sono, al principio, risorse rinnovabili. Tuttavia, il loro sfruttamento eccessivo può limitare la loro capacità di rinnovamento, o persino esaurirle. Un bosco, ad esempio, può essere sfruttato razionalmente in maniera tale che produca in forma continua, oppure può essere completamente disboscato, per estrarre il massimo beneficio economico, per poi spostarsi e sfruttare un altro bosco. Questa forma di spoliazione, che tuttavia continua, è quella che, con alcune eccezioni, ha caratterizzato lo sviluppo dell’umanità.
L’acqua offre un altro esempio. La quantità d’acqua che circola nel pianeta non è variata in maniera considerevole durante la storia dell’umanità. Il ciclo dell’acqua è incaricato di rinnovare continuamente questa risorsa e tuttavia la quantità di acqua potabile, che è l’autentica risorsa di cui gli uomini hanno bisogno, è diminuita in maniera allarmante negli ultimi due secoli.
Lo sviluppo sostenibile è quello che razionalizza lo sfruttamento ed il consumo delle risorse rinnovabili e limita, cercando alternative, l’utilizzo di risorse non rinnovabili. In un senso più ampio, che è quello che deve prevalere, lo sviluppo sostenibile è quello che preserva la qualità delle risorse, non solo per gli esseri umani, ma per l’insieme della biosfera. Unire lo sviluppo sostenibile con il progresso economico e la generazione di ricchezze è senza alcun dubbio la sfida più grande che l’umanità affronta al giorno d’oggi.
IL PIANETA AZZURRO
Forse nessun’altra immagine ha cambiato la percezione del nostro pianeta come quella della Terra vista dallo spazio. Paragonato ad altri pianeti del Sistema Solare, il pianeta azzurro si distingue dagli altri per la sua peculiarità. Se un ipotetico extraterrestre arrivasse sul nostro pianeta e si domandasse se c’è vita sulla Terra, gli basterebbe analizzare l’atmosfera, osservare il suo funzionamento e osservare la sua composizione atipica e variegata, ricca di ossigeno per rispondersi che solamente l’antica e costante attività della vita, della biosfera, può spiegare una tale aberrazione termodinamica.
Dal punto di vista dello spazio è facile comprendere che la biosfera, il tenue strato di vita che avvolge la Terra, è un’unità funzionale: l’ ecosistema globale che da grande macchina termica si mantiene con l’apporto energetico costante dato dal Sole. Tuttavia, oltre a quest’unità, la biosfera presenta una grande varietà di ambienti, di forme di vita e di legami tra le stesse forme di vita che sono presenti ovunque.
Dal punto di vista dello spazio è facile comprendere che la biosfera, il tenue strato di vita che avvolge la Terra, è un’unità funzionale: l’ ecosistema globale che da grande macchina termica si mantiene con l’apporto energetico costante dato dal Sole. Tuttavia, oltre a quest’unità, la biosfera presenta una grande varietà di ambienti, di forme di vita e di legami tra le stesse forme di vita che sono presenti ovunque.
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Tondo Doni
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Tondo Doni
Michelangelo, circa 1503
Olio e tempera su tavola 91 cm × 80 cm
Firenze, Uffizi
Tondo Doni (a volte noto anche come Sacra Famiglia) è un dipinto che fu realizzato da Michelangelo Buonarroti, il dipinto fu eseguito con tempera su tavola (91 x 80 cm), si considera che questa opera sia stata fatta tra il 1503, e il 1504.Siccome Simone Coppola non lo accettò oggi il Tondo Doni è conservato nella Galleria degli Uffizi (Firenze). La Sacra Famiglia, prese come secondo nome Tondo Doni, perché l'opera fu commissionata da Angelo Doni. Si pensa che la cornice dell'opera sia originale, probabilmente fatta da Michelangelo stesso.
Questa pittura su tavola è realizzata con la tecnica quattrocentesca della tempera. Il gruppo centrale è formato da San Giuseppe che passa Gesù bambino a Maria; dietro a loro si trova un muretto vicino al quale vi è San Giovanni Battista bambino. Sullo sfondo vi sono degli "ignudi", che si presume possano essere angeli apteri, cioè senza ali.
Interpretazione simbolica [modifica]
Gli ignudi rappresentano l'umanità dell'epoca pagana precedente l'instaurazione della legge divina (ante legem), la Madonna e San Giuseppe personificano l'umanità dell'epoca ebraica (sub lege), mentre Gesù bambino simboleggia l'umanità protetta dalla Grazia divina (sub gratia). S. Giovanni bambino sarebbe l'elemento di transizione e unione delle tre età.
La Madonna ha un libro appoggiato sulle ginocchia, e in quanto personificazione della Chiesa simboleggia l'attività teologica e divulgativa dei contenuti dottrinari, è l'erede privilegiata per diffondere la parola di Dio all'umanità. Anche la volumetria nella rappresentazione della Madonna è molto studiata e accentuata, per la passione per lo studio della figura umana che Michelangelo nutriva, ma anche perché il vigore fisico si identifica con la forza morale.
Considerazioni stilistiche [modifica]
Il punto di vista che Michelangelo sceglie per rappresentare gli ignudi è frontale, diversamente da quello che adotta per il gruppo centrale, visto dal basso. Questa scelta figurativa è legata alla volontà, da parte dell'autore, di conferire monumentalità alla Sacra Famiglia, ma anche di differenziare le zone figurative contrapposte per significato. Anche braccia e teste creano forme e triangoli immaginari che attirano l'attenzione sul gruppo. Vi sono inoltre consonanze figurative tra il gruppo e gli ignudi: la più evidente è la ripetizione speculare di spalle e braccia.
Il muretto rappresentato dietro al gruppo ha molteplici funzioni: ferma l'effetto percettivo di rotazione creato dalla postura dei personaggi principali, separa la Sacra Famiglia dagli ignudi, esplicita il divario tra le prospettive e i significati.
L'articolazione dello spazio e dei volumi, la tensione e il movimento sono forti elementi anticlassici.
LA FAMIGLIA
“Sogni e aspettative sui nostri figli” (gruppo “In cammino” - 7 febbraio 2010)
“I figli devono ricevere due cose dai genitori:ali e radici” (Goethe).
Questo pensiero racchiude in buona sostanza quelle che sono le aspettative sui nostri figli: vorremmo per Paola e Luca ali grandi e sicure per affrontare la vita e al contempo radici ben piantate a terra per sentirsi sicuri del nostro affetto e della loro appartenenza ad una rete familiare forte e unita.
Quando si genera un figlio,anche se la scelta è stata responsabile e seriamente pensata, ci si deve confrontare con un figlio che certamente non è quello che si è scelto.. Si sceglie genericamente di avere un figlio ma nasce quel figlio preciso che esige di essere riconosciuto nella sua identità. Nei primissimi anni di vita del bambino ci si illude che egli sia un nostro prolungamento, che senta come noi, che abbia gli stessi nostri desideri: in buona sostanza si è quasi convinti che ciò che è bene per noi lo sia anche per lui. I primi ostacoli, per quanto ci riguarda, sono iniziati quando Paola da appendice di mamma e papà si è pian piano trasformata in una pensioncina autonoma con propri pensieri, gusti, sentimenti … ad un certo punto ci siamo trovati spiazzati: come era possibile che la “nostra” bambina potesse in certi momenti essere così diversa da noi? Dov’era finita la bambolina che potevamo vestire a nostro piacimento, scorrazzare di qua e di là senza che si ribellasse perché le bastava essere con noi? Poco alla volta ci siamo resi conto che nostra figlia doveva essere accettata nella sua singolare personalità, che il nostro progetto di figlio ideale era solo un sogno di perfezione cui avevamo cercato di adeguare il figlio reale.
Ogni genitore porta nello zaino dei sogni che, per cause diverse, non è riuscito a realizzare … ecco allora che il figlio sembra essere un’altra opportunità che la vita ci offre per affermarci e per portare a compimento progetti tanto sognati. Questo è spesso l’errore che Cristina fa con Paola; forse inconsciamente le impone attività e interessi in base ai propri gusti senza tener conto delle reali aspirazioni della bambina. E’ difficile accettare l’”originalità” dei propri figli: più facile desiderare che i figli siano come noi, costa fatica rinunciare a prolungarsi in loro, più facile cercare di farne una copia di noi stessi.
Quotidianamente noi ci sforziamo di promuovere e incoraggiare l’originalità di Luca e Paola senza sottoporli a continui confronti e paragoni con altri … cerchiamo di farli sentire amati per come sono e non per ciò che fanno. Ci piace molto una frase di Gibran : “voi siete l’arco che lancia i figli, le vostre frecce vive, verso il domani”.
Il nostro più intimo desiderio è quello di crescere due belle persone: felici di se stessi, contenti del loro operato,che amino la scuola per il sapere che da essa si può trarre, che assorbano i valori familiari, che siano rispettosi e capaci di dialogo, che accettino le diversità (di sesso, razza, religione, etc), che sappiano cadere senza farsi troppo male e che abbiano la forza di rialzarsi e di ricominciare.
Vorremmo due figli che non temano di affrontare la vita, che abbiano il coraggio e soprattutto la voglia di conoscere il mondo anche se questo potrebbe significare allontanarsi da noi, dal loro paese e dai loro amici. Auguriamo ad entrambi di coltivare un grande sogno, d’inseguirlo e di realizzarlo senza rimanere ingabbiati in schemi imposti da altri … ci auspichiamo che possano e riescano a sentirsi liberi e non legati a stupide convenzioni che impongono modelli comportamentali predefiniti (es: è la figlia femmina che deve correre in soccorso dei genitori). Soprattutto per Paola vogliamo che senta di avere pari dignità e opportunità di Luca (pur nel rispetto della loro biodiversità) e Cristina in particolare le augura di librarsi felice nel cielo della vita senza timori, sensi di colpa o senso d’inadeguatezza … mai, ci siamo ripromessi, sentiranno uscire dalla nostra bocca la peggior frase che a nostro avviso un genitore possa mai pronunciare : “con tutto quello che abbiamo fatto per te”. Non abbiamo generato figli per avere il c.d. “bastone della vecchiaia” … siamo convinti che spingendoli a volare alto, a realizzarsi come persone autonome, al momento opportuno sapranno far ritorno al “nido” offrendo il loro aiuto e il loro sostegno.
L’insegnamento che vorremmo trasmettere loro è che l’amore non teme confini, che si può essere vicini anche se fisicamente lontani e che fare scelte autonome non significa amare di meno che ci circonda … di tutto questo vorremmo riempire il loro zaino personale e, infine, vorremmo affidarli a Qualcuno che li proteggerà e li guiderà sicuramente meglio di noi : Dio.
Cristina